Entrando nel santuario di molti monasteri buddhisti si resta colpiti nello scorgere fra le mille policrome immagini degli jataka che narrano le precedenti esistenze del Buddha storico anche alcuni quadri che raffigurano efferate punizioni infernali.
D’altra parte anche il lato orientale della galleria Sud di Angkor Vat è interamente occupata da un bassorilievo che raffigura il giudizio dei morti da parte del dio Yama e illustra i paradisi e gli inferni che popolavano il mondo fantastico degli antichi Khmer. Yama, il giudice supremo dalle molteplici braccia, appare assiso sulla sua cavalcatura sacra, il bufalo, e delega ai suoi due assistenti, Dharma e Citragupta, il compito di comminare le pene a coloro che devono essere precipitati fra i supplizi infernali.
Alcune brevi iscrizioni raccontano che nel "aldilà" khmer esistevano ben 32 inferni. Più numerosi erano i cieli paradisiaci, 37, ove chi bene aveva meritato, rispettando la legge celeste e la volontà imperiale, viveva un esistenza di indolente beatitudine in lussuosi palazzi, circondato da servitori, allietato da apsaras danzanti e godendo di piaceri assai mondani. Gli stessi palazzi celesti, poggiati su un basamento in pietra decorato da immagini di garuda in posizione di "atlante" dal quale si alzano slanciati padiglioni lignei, non possono non far pensare allo stesso Palazzo reale di Angkor, così come si può ritenere che fosse nei tempi antichi.
Altrettanto realistica, ma di ben diverso tono, è la rappresentazione degli inferni dove la stessa fantasia del padre Dante si troverebbe in difficoltà nel trovare supplizi più efferati e pene e tormenti tali da incutere terrore anche al più reprobo fra i peccatori.
Occorre però pensare che le pene per quanto tremende, così come le paradisiache beatitudini, erano tuttavia temporanee. Potevano protrarsi fino a un massimo di 10.000 anni, ma passato tale periodo, la cui durata era stabilita da Yama, ogni essere riprendeva il proprio ciclo di reincarnazioni. Anche i guardiani-aguzzini degli inferi, aiutati nel loro compito da ogni specie di animali, erano essi stessi dei peccatori che, scontato il loro periodo di pena e prima di tornare al ciclo delle esistenze, al samsara, dovevano infliggere i supplizi. Stupefacente è la varietà e la crudeltà delle pene: chi ha danneggiato i beni degli altri ha le ossa spezzate, gli ingordi vengono segati in due, ai ladri di riso tocca il ferro incandescente mentre chi ha osato cogliere dei fiori nei giardini sacri ha il capo trafitto da chiodi.
Questa violenza dei supplizi infernali non deve affatto lasciare stupiti. Lo stesso Buddha, nel sermone “Lo stolto e il savio” del Cofano dei Discorsi o Suttapitakam, così ammoniva i suoi auditori:
«Egli ora, o monaci, questo stolto, essendosi comportato con cattiva condotta in opere, con cattiva condotta in parole, con cattiva condotta in pensieri, cade, con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, giù, su cattivo cammino, negli inferni (.......)
I custodi infernali, o monaci, gli applicano il supplizio detto del quintuplo chiodo: infiggono un aculeo di ferro rovente in una mano, un aculeo di ferro rovente nell' altra mano, un aculeo di ferro rovente in un piede, un aculeo di ferro rovente nell' altro piede, un aculeo di ferro rovente in mezzo al petto: per cui egli ha da provare sensazioni dolorose, cocenti, pungenti, né può finire il suo tempo finché la sua cattiva azione non è esaurita.
I custodi infernali, o monaci, ricevendolo lo spaccano con le scuri: per cui egli ha da provare sensazioni dolorose, cocenti, taglienti, né può finire il suo tempo finché la sua cattiva azione non è esaurita.
I custodi infernali, o monaci, mettendolo a piedi in sù, capo in giù, lo spaccano con dei coltelli: per cui egli ha da provare............
I custodi infernali, o monaci, aggiogandolo a un carro lo menano e lo rimenano per un terreno ardente: per cui egli ha da provare............
I custodi infernali, o monaci, gli fanno ascendere e discendere una grande montagna di brace ardente: per cui egli ha da provare...........
I custodi infernali, o monaci, afferrandolo lo gettano a piedi in sù, capo in giù, in un recipiente colmo di ferro in fusione, ardente, bruciante, scottante, per cui egli è cotto e ridotto in schiuma, ora va in sù, ora va in giù, ora va a traverso: cosí egli ha da provare.......
I custodi infernali, o monaci, lo gettano poi nel Grande inferno. Il Grande inferno, o monaci, ha quattro cantoni con quattro porte ai lati, è cinto da una muraglia di ferro ed è sormontato da una volta di ferro arroventato a fuoco ed irradia calore per cento leghe intorno.
Se io ora volessi, o monaci, continuare a raccontare in vario modo dell'inferno, non sarebbe per nulla facile, o monaci, riuscire a descrivere adeguatamente i dolori infernali."
Cosí ammoniva il Buddha.
Ovviamente le pene dell'inferno non fanno cessare il ciclo delle esistenze e anche chi ha goduto di paradisiaci secoli di beatitudini, che non sono la meta ultima del nirvana, torna a reincarnarsi con un kharma migliore. Analogamente lo stolto, cioè colui che per la sua colpevole ignoranza è caduto nell'errore e nella “stoltezza”, si reicarna, dopo aver scontato le sue pene, in esseri la cui natura riflette gli errori commessi nell' esistenza precedente.
Continua, infatti, ad ammaestrare il Buddha:
“vi sono, o monaci, esseri divenuti animali erbivori. Essi masticano, tritando coi denti, erbe fresche e secche. E quali sono, o monaci, gli esseri divenuti animali erbivori ? Cavalli, buoi, asini, capre, antilopi e qualsiasi altro essere ancora divenuto mangiatore di erbe. Ora, questo stolto, o monaci, che è stato qui, prima, goloso facendo cattive azioni, con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, risorge in compagnia di quegli esseri, quelli cioè mangiatori di erbe.”
La sorte però può anche essere più triste. Il Buddha infatti ammonisce che si può anche ritrovarsi in compagnia di quegli animali che "sentendo da lontano l' odore dello sterco, accorrono dicendo: qui mangeremo, qui mangeremo ! E quali sono gli esseri divenuti animali mangiatori di sterco ? Polli, porci, cani, sciacalli". Si scende poi agli animali che "nascono nell'oscurità, invecchiano nell'oscurità, muoiono nell'oscurità, e questi sono blatte, vermi, tarme. Altri nascono, invecchiano e muoiono nell' acqua, e qusti sono pesci, tartarughe e coccodrilli". Si giunge infine agli animali che consumano la loro esistenza "nel pesce putrido, nella carne putrida, nel latte putrido, nei letamai e nelle pozze fangose qualsiasi siano altri esseri ancora che, divenuti animali, nascono, invecchiano e muoiono nelle sostanze in putrefazione".
La sorte dello stolto sembra quasi segnata per l'eternità, infatti: "difficilmente, io dico, o monaci, è raggiungibile l'umanità dallo stolto caduto in profondo. E perché ciò ? Perché là, o monaci, non vi è opera salutare né opera meritoria: divorarsi l'un l'altro vige laggiù, uccidere il debole. Se anche ora, o monaci, quello stolto una volta, dopo il corso di lungo tempo, raggiunge l'umanità, egli allora rinasce in basse famiglie di reietti, o di cacciatori, o di cestari, o di carrozzieri, o di spazzini, povere famiglie mal nutrite e mal vestite, in cui ottiene scarso cibo e misere vesti. Ed egli è brutto, spiacente, deforme, malaticcio, guercio, o zoppo, o paralitico, bisognoso di cibo e bevanda e vestito, privo di veicolo, ornamenti e profumi, di letto, di tetto e di luce, Egli allora si conduce con cattiva condotta in parole, con cattiva condotta in pensieri, conducendosi con cattiva condotta (.....) riesce, con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, giù su cattivo cammino in sofferenza, verso l'inferno. "
Così continua e si perpetua il ciclo delle esistenze dello stolto, senza speranza di redenzione né di salvezza. Furono veramente queste le parole, gli insegnamenti e gli ammonimenti del Buddha ? Non possiamo saperlo: questo è però quanto ci è stato tramandato.