Il 17 aprile 1975 i soldati del Fronte di Unità Nazionale di Kampuchea, formalmente guidato da Sihanouk, entrano in Phnom Penh ed è instaurato lo Stato di Kampuchea Democratica. Lo Stato però non esiste, è l’Angkar, la "Organizzazione" che presiede a tutte le attività del paese.
I suoi dirigenti sono noti come: Amico Numero 1 (Pol Pot), Numero 2 (Nuon Chea), Numero 3, etc. fino al numero 8: sono i membri dell'Ufficio politico del PCK, il Partito Comunista di Kampuchea, e sono loro il vertice dello Stato.
E’ subito messo in atto il programma di Kampuchea Democratica che si articola in 8 punti: 1) evacuazione nelle campagne della popolazione di tutte le città; 2) chiusura di tutti i mercati; 3) abolizione del denaro; 4) secolarizzazione dei bonzi; 5) eliminazione dei quadri del passato regime; 6) instaurazione di comuni agricole in tutto il paese; 7) espulsione di tutti i Vietnamiti; 8) schieramento delle truppe sulla frontiera con il Vietnam. Tutti gli esponenti governativi e tutti i graduati dell'esercito di Lon Nol furono fucilati e la popolazione di Phnom Penh fu costretta con la forza a lasciare la città. Dopo pochi mesi cominciarono a giungere alla frontiera thailandese i primi fuggitivi che denunciavano le atrocità commesse, ma nessuno li ascoltò.
Sihanouk giunse in volo da Pechino e fu nominato Capo dello Stato di Kampuchea Democratica; in tale veste si recò all'ONU per chiedere, e ottenere, il riconoscimdento internazionale. Erano nel frattempo iniziati gli scontri di frontiera con il Vietnam: la causa ufficiale sarebbe stata l’occupazione, da parte vietnamita, di alcune zone di frontiera. In realtà, Pol Pot aderiva alla richiesta cinese di condurre una guerra di frontiera per tenere occupato, nel sud del paese, l’esercito vietnamita che Pechino temeva potesse attaccare la Cina da sud mentre l’Armata rossa sovietica faceva altrettanto da nord, lungo la frontiera del fiume Ussuri. La frattura politico-ideologica tra Mosca e Pechino si era ormai trasformata in guerra aperta e la Cina, dopo il viaggio di Nixon a Pechino nel 1973, si avvicinava sempre di più a Washington, nella lotta “contro la penetrazione sovietica nel Sud-Est asiatico”. Nel 1976 Pol Pot firmò un accordo di assistenza militare con la Cina, che con la Corea del Nord era l'unico partner di Kampuchea democratica.
Sihanouk, dopo la morte del suo grande protettore Chou En-lai, trovò opportuno defilarsi e si dimise dalla carica di Presidente della Repubblica, ritirandosi nel Palazzo Khemarin. Nuovo Capo dello Stato fu Khieu Samphan mentre Pol Pot diventava Primo ministro. A Pechino, intanto, dominava la “Banda dei quattro”, l’ala più radicale della "rivoluzione culturale" che assicurava a Pol Pot una totale copertura politica. Iniziarono così le purghe all'interno del partito comunista e dell'esercito cambogiano contro tutti i sospetti "agenti del KGB". Alla frontiera, gli scontri tra esercito cambogiano e vietnamita si erano trasformati in guerra aperta.
In Occidente erano ormai, da più fonti, documentati i massacri compiuti dai Khmer rossi all’interno del paese, ma numerosi Stati stabilirono rapporti diplomatici con Kampuchea Democratica. Dopo Cina e Corea del Nord, si aggiunsero Birmania, Perù, Malaysia, Filippine, Singapore e, dopo il Cile di Pinochet, lo fece anche l'Italia.
Nel 1977 si inasprirono le purghe interne e fu emanata la direttiva delle tre estirpazioni: devono essere eliminati i Vietnamiti residenti in Cambogia, gli Khmer che parlano vietnamita e quelli che hanno relazioni di famiglia, di amicizia o di lavoro con Vietnamiti. Primo di una lunga serie, il ministro della Informazione Hu Nim fu arrestato e ucciso. Gli fecero seguito quattro degli otto membri dell’Ufficio politico del Partito comunista e sette ministri in carica. Dopo i politici venne il turno dei militari, che Pol Pot temeva perché sapeva di non potere controllare ideologicalmente.
Come in Italia durante la Seconda guerra mondiale c’erano le brigate delle Camice nere e il Regio Esercito i cui ufficiali combattevano eseguendo gli ordini del Governo fascista in carica, ma dopo l'8 settembre 1943 presero le armi contro i nazisti e i repubblichini di Salò, così in Cambogia molti soldati e ufficiali avevano condotto la guerra di liberazione agli ordini del GRUNK, presieduto da Sihanouk, e ora continuavano a combattere agli ordini del governo in carica, pur non condividendone la linea politica. Erano dei soldati e ubbidivano.
Agli occhi di Pol Pot, costoro erano i più sospetti di nutrire simpatie per i Vietnamiti contro i quali, peraltro, combattevano. Alcuni tentativi di colpo di Stato da parte dell'opposizione interna scatenarono la repressione e divenne sospetta tutta la gerarchia militare della Zona Est. Pol Pot vedeva il suo più pericoloso antagonista in So Phim, membro dell’Ufficio politico e comandante militare di tutto il fronte, che non nascondeva il suo rispetto per i Vietnamiti, a fianco dei quali aveva combattutto contro gli Americani. Non potendo eliminarlo direttamente, decise di fargli il vuoto intorno e cominciò a convocare a Phnom Penh, con vari pretesti, tutti i suoi più stretti collaboratori e li fece uccidere. So Phim non sembrava rendersi conto della trappola che gli stavano tendendo ma alcuni dei suoi ufficiali capirono che il vero nemico non era il vietnamita che avevano davanti ma Pol Pot, alle spalle, che li stava eliminando uno dopo l’altro.
L'unica soluzione era quella di attraversare la linea del fuoco e prendere le armi, a fianco dei Vietnamiti. Il primo a farlo fu, nel giugno 1977, Hun Sen, un giovane tenente colonnello della zona Est. All'interno del paese, centinaia e centinaia di migliaia di persone morivano di fame, di spossamento, di malattie e di maltrattamenti nelle comuni agricole, mentre decine di migliaia di “filovietnamiti” venivano uccisi da Santebal, la polizia politica. Agli inizi del 1978 Pol Pot decise di liquidare il conto con le forze dissidenti della regione Est, dove furono uccise migliaia e migliaia di persone accusate di avere un cuore vietnamita in un corpo cambogiano.
I pochi dirigenti e comandanti militari sopravvissuti, con alcune unità dell'esercito, passarono la frontiera, raggiungendo Hun Sen e i soldati che lo avevano seguito. Furono arruolate truppe fra gli oltre 400.000 Cambogiani che già si erano rifugiati in Vietnam e fu costituito il FUNSK, il Fronte Unito Nazionale per la Salvezza della Kampuchea.
Il 21 aprile 1978 il Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, condannò il governo di Phnom Penh come "l'attuale peggior nemico dei diritti dell'uomo". Erano state raccolte molteplici testimonianze sul genocidio in atto in Cambogia ma tutti continuavano a tacere e Svizzera, Indonesia e Giappone stabilirono relazioni diplomatiche con il governo di Phnom Penh, così che il 12 giugno, a Tokio, Ieng Sary, Ministro degli Esteri e cognato di Pol Pot, poté denunciare un complotto di CIA e Vietnam (!!!) per distruggere Kampuchea Democratica. Sihanouk, intanto, compiva con Khieu Samphan una visita delle province meridionali per “incontrare il suo popolo”.
Nella notte del giorno di Natale, ventimila soldati del FUNSK passarono all'attacco e rientrarono combattendo in Cambogia; dietro di loro venivano le divisioni corrazzate vietnamite che, come un coltello nel burro, spazzarono via la resistenza dei Khmer rossi. Altri reparti dell’esercito cambogiano insorgevano nel nord del paese e il 7 gennaio 1979 le truppe del FUNSK e i soldati vietnamiti entrarono in Phnom Penh.
Il regime di Kampuchea Democratica era durato 3 anni, 8 mesi e 20 giorni. Prima del crollo, era giunto dalla Cina un aereo militare che portò Sihanouk a Pechino mentre Pol Pot si rifugiava ai confini con la Thailandia.
A Phnom Penh, Heng Samrin, uno dei comandanti militari rifugiatisi in Vietnam, fu nominato alla testa della Repubblica Popolare di Kampuchea, la RPK. Nel cortile del carcere S.21, a Tuol Sleng, si celebrò il processo in contumacia contro i capi Khmer rossi: furono condannati a morte per genocidio Pol Pot e Ieng Sary, ma la sentenza decadde con gli accordi di pace di Parigi del 23 ottobre 1991 e Pol Pot e Ieng Sary tornarono a essere liberi cittadini
Il 21 settembre 1979 l'Assemblea generale dell'ONU, con voto a maggioranza, stabilì che solo il governo di Kampuchea Democratica rappresentava legalmente la Cambogia e il 14 novembre la stessa Assemblea generale decretava l’embargo contro la Cambogia e condannava la "aggressione" vietnamita. Per undici anni, fino al 1990, il governo di Pol Pot conservò il seggio all'ONU, come unico e legittimo rappresentante del popolo cambogiano, e il popolo cambogiano continuò a subire l'embargo da parte dei paesi occidentali.
Pol Pot e Sihanouk, cui si era aggiunto Son Sann ex-Primo ministro ai tempi del colpo di Stato di lon Nol, rinnovarono la loro alleanza e formarono una coalizione, con basi lungo la frontiera thailandese, e sostenuta dai paesi dell'ASEAN e appoggiata da Cina e Stati Uniti. Questa coalizione combatteva contro il governo di Phnom Penh, sostenuto dal Vietnam e appoggiato dall’Unione Sovietica, in una nuova versione della “guerra fra i blocchi”, dove coincidevano gli interessi di Cina e Stati Uniti a bloccare militarmente l’espansione dell’influenza sovietica nel Sud-Est asiatico. Il campo di battaglia era la Cambogia.