Questo testo è tratto dal libro Myanmar, edito da Polaris nel 2007 e riedito nel 2014, di cui sono coautore. Mi scuso per alcune inesattezze che può contenere ma ho scritto un nuovo testo, dal titolo Birmania, che sarà presto pubblicato da Polaris.
Gli antichi regni
Non è agevole districarsi tra le tante e ancor confuse indicazioni fornite dall’archeologia e dalla paleografia sulle vicende storiche e umane che si svolsero nei lunghissimi secoli precedenti all’inizio dell’Era cristiana. Solo alcune narrazioni parzialmente leggendarie ci narrano del più antico regno di cui sia rimasta memoria: quello dei Mon, le cui vicende non sono disgiungibili da quelle dei Khmer. I Mon-Khmer formano infatti un solo gruppo etnolinguistico, dalle origini ancora poco note. Alcuni storici li dicono originari delle pianure centrali dell’Asia, per altri provengono invece dalle regioni nord-orientali dell’India, da cui migrarono verso Est intorno al primo millennio avanti Cristo. I Khmer si spinsero fino al Nord dell’attuale Cambogia, mentre i Mon si arrestarono nella fertile fascia costiera posta fra le foci del Thanlwin, del Sittoung e del Ayeyarwady. I Birmani d’altra parte li chiamavano Talaing, dal nome della regione indiana di Telingana che corrisponde alla attuale Madras. Si narra anche che il grande imperatore indiano Asoka nel III secolo a. C. ordinò a due monaci, di nome Sona eUttara, di andare a portare una sacra reliquia del Buddha in quelle mitiche terre orientali del paese di Suvannabhumi, la “Terra dell’Oro” la cui ricchezza era nota a tutti gli antichi mercanti indiani e cinesi e di cui é giunta fino a noi memoria negli scritti di Tolomeo che la chiamò Chersoneso Aureo. Una delle tante tradizioni vorrebbe che fu in questa la circostanza che venne elevato il primo reliquiario sul quale nei secoli successivi la fede di popolo e regnanti eresse poi la maestosa pagoda Swedhagon. Fonti meno leggendarie danno notizia che la antica capitale dei Mon, chiamata negli antichi testi Sudhammavati e che noi conosciamo invece con il nome di Thaton, fu patria di Buddhaghosa, venerato commentatore degli scritti canonici buddhisti che qui visse e morì nel V secolo.
Più a Nord, lungo il medio corso dell’Ayeyarwady, tra il sito di Halin, vicino alla attuale Shwebo a Nord, e Pyay, un tempo chiamata Prome a Sud, si insediarono presumibilmente agli inizi dell’Era cristiana delle popolazioni di ceppo sino-tibetano chiamate Tirchul e che noi conosciamo con il nome cinese di Pyu. Le prime notizie certe su questo popolo vengono infatti dai resoconti di mercanti cinesi del III secolo che commerciavano con un regno “induizzato” che loro chiamarono P’iao. Molto probabilmente il regno Pyu entrò presto in contatto con il regno meridionale dei Mon tanto che vi si praticava il buddhismo del Theravada già nel V secolo, come testimoniano alcuni frammenti del canone pali redatti in una scrittura databile all’epoca e ritrovati presso Pyay, nel sito della loro antica capitale Sriksetra, dove numerosi erano i monasteri buddhisti come narrano dei monaci cinesi che qui transitarono nel VII secolo sulla via del ritorno da un pellegrinaggio nei luoghi santi dell’India.
Queste scarne notizie sugli antichi regni dei Mon e dei Pyu attestano quanto precoce sia stata la penetrazione del buddhismo Theravada in Myanmar. Fiorirono anche dei culti brahmanici e pure il buddhismo Mahayana incontrò per qualche tempo un certo favore, soprattutto nella versione tantrica della setta degli Ari, ma il seme della “dottrina degli Anziani” si era ormai saldamente impiantato nella terra di Myanmar.
Le vicende di Myanmar entrano con maggior precisione nella Storia sul finire del VIII secolo quando il potente e bellicoso regno Tai di Nan-chao, che estendeva il suo dominio dallo Yunnan all’attuale Stato Kachin nell’alta valle dell’Ayeyarwady, compì atto di sottomissione alla dinastia cinese dei T’ang. Si aprì così per gli ambasciatori e i mercanti Pyu una via diretta verso il grande Impero cinese e gli Annali imperiali cominciano a abbondare di notizie sui Pyu e sulla loro capitale Halin. Dalla stessa fonte cominciano a giungerci notizie anche sul regno meridionale dei Mon, che i Cinesi chiamano Mi-ch’en. Si apprende così che il regno ha iniziato a espandersi verso il Nord-Ovest e che nel 825 è stata fondata una nuova città di nome Pegu, oggi Bago. Il regno dei Pyu subisce intanto la crescente aggressività del Nan-chao i cui eserciti radono al suolo Sriksetra nel 835. I Pyu, sconfitti e decimati dalle deportazioni di popolazione, si ritirano intorno alla loro capitale settentrionale Halin abbandonando il basso corso del Ayeyarwady dove si insediano tribù di Karen e, soprattutto, i Mon che moltiplicano i loro insediamenti fino a raggiungere la fertile pianura di Kyaukse creando un vasto dominio di elevata civilizzazione. Le città di Thaton e Pegu sono il cuore di un mondo culturalmente raffinato le cui radici affondano nell’immenso tesoro della civiltà indiana che, a partire dai primi secoli dell’Era cristiana, si era diffusa su queste terre portando i propri modelli architettonici, la scrittura, tutto il sapere dei Veda, le religioni storiche e, principalmente, il buddhismo.
I Birmani
Dei Birmani si comincia a parlare ai tempi del regno di Nan-chao quando molte cronache cinesi fanno cenno alla irrequietezza di questa bellicosa tribù di sino-tibetani che abitava le montagnose regioni dello Yunnan meridionale. Le sconfitte subite dai Pyu aprono a questi guerrieri del Nord la via delle fertili pianure del medio corso del Ayeyarwady. Già a partire dalla metà del IX secolo si stanziano intorno a Kyaukse dove si sovrappongono ai Mon e ricacciano verso gli altopiani orientali le più deboli tribù di Wa, Palaung, Kadu e Sgaw Karen. A contatto con il raffinato mondo culturale mon, iniziano a civilizzarsi apprendendo una scrittura e abbandonando, almeno in superficie, il loro ancestrale credo animista per convertirsi al buddhismo. Nell’anno 849 il re Pyinbya circonda con mura un antico insediamento di nome Arimaddanapura e ne fa la sua capitale chiamandola Bagan. Per due secoli circa le fonti storiche sono avare di notizie sul regno di Bagan e restano solo leggende intrise di folklore. L’unica cosa certa parrebbe il fatto che, portate forse da mercanti e monaci missionari indiani, si siano diffuse le pratiche del misticismo tantrico del Vajrayana e che qui abbia preso piede la setta buddhista eterodossa degli Ari mentre restava sempre vivo l’antico culto dei nat. I Birmani sono comunque ormai diventati dei sedentari e, lasciata la pastorizia, edificano la loro economia sull’agricoltura e, in primo luogo, sulla coltura del riso in campo allagato. Sono favoriti dalla natura del luogo, con le vaste pianure irrigate da Chindwinn e Ayeyarwady, ma apprendono rapidamente anche le tecniche di ingegneria idrauliche di cui i Mon sono maestri e costruiscono così solide basi economiche a un regno che attende solo un condottiero per diventare egemone su tutta la terra di Myanmar.
Il fondatore del primo Impero
Secondo le piuttosto leggendarie cronache birmane, intorno all’anno Mille, il legittimo re Kunsho Kyaungphyu era stato relegato in un monastero da un usurpatore e qui divenne padre di un bimbo cui fu imposto il nome Anawratha, che è la pronuncia birmana del termine Aniruddha che il lingua pali significa “senza ostacoli”. Giunto alla maturità, nel 1044, Anawratha rivendicò i propri diritti al trono e uccise in duello l’usurpatore Sokkate. I primi anni di regno furono dedicati principalmente allo sviluppo dell’economia agricola con la realizzazione di un vasto sistema di irrigazione della fertile pianura di Kyaukse che si estendeva a Est di Bagan. Si narra che nell’anno 1056 proveniente dalla capitale Mon Thaton giunse alla corte di Bagan un sant’uomo, un shin arahan di nome Dhammadassi, che riuscì a convincere Anawratha a abbandonare le discutibili pratiche tantriche diffuse dagli Ari e convertirsi al rigore della dottrina Theraveda. Una quasi pia leggenda racconta che Anawratha volle allora ottenere dal re di Thaton un prezioso testo del Tripitaka steso in antico pali e che inviò un proprio ministro a farne richiesta ottenendo un secco rifiuto. Questo fu il casus belli di una guerra di conquista del Sud che Anawratha aveva di certo progettato da tempo. Gli elefanti da guerra birmani travolsero l’esercito dei Mon e Thaton fu conquistata e messa a sacco nel 1057. Gli elefanti tornarono a Nord carichi di immenso bottino in cui il posto d’onore era tenuto non da una ma da trenta copie del Tripitaka. Lo stesso re mon Makuta, cha alcuni chiamano Manuha, seguiva in catene, con tutta la sua famiglia e la sua corte, il corteo del vincitore. Il vero e più prezioso bottino di Anawratha erano però le migliaia di artigiani, artisti, dotti e letterati sul cui sapere il vincitore seppe costruire la fortuna sua e quella dell’Impero. Non é casuale il fatto che la prima iscrizione in lingua birmana sia tracciata in caratteri mon e risalga al 1058, un anno dopo la presa di Thaton. Non é facile spogliare i venti anni successivi di regno di Anawratha di tutte le leggende che le narrazioni popolari vi hanno costruito intorni. Certo é che condusse molte fortunate campagne militari che portarono il suo regno a estendersi da Bhamo al golfo di Mottama, inglobando anche parte del Rakhine e del Tanintharyi. In questo modo il regno usciva dal suo isolamento continentale affacciandosi al mare e alle grandi vie mercantili che lo percorrevano da Occidente a Oriente. Fu però un evento non bellico che lasciò un segno indelebile nella storia successiva del paese. Nel 1071, il re di Sri Lanka Vijayabahu aveva chiesto a Anawratha di inviare dei monaci e alcune copie del canone buddhista per restaurare i culti dopo le distruzioni portate da una invasione di Chola e per poi sdebitarsi mandò a Bagan una copia del dente-reliquia venerato a Kandy che fu posto nella pagoda Shwezigon. Con questo atto si compì una sorta di investitura del buddhismo Theravada birmano da parte del Sangha di Sri Lanka che, da sempre, era riconosciuto come il solo e vero detentore della ortodossia della “Dottrina degli Anziani”. L’improvvisa carica di un bufalo durante una battuta di caccia mise improvvisamente fine alla vita del fondatore del primo Impero birmano nel 1077. Lui aveva creato la potenza, i suoi immediati successori edificarono lo splendore di Bagan.
Il secolo d’oro di Bagan
Sui re successori di Anawratha sul trono di Bagan, le cronache birmane sovrabbondano di aneddoti romanzeschi, spesso piccanti, talora quasi scandalistici che possono divertire ma che poco hanno a che vedere con la Storia. Di certo possiamo sapere che poco dopo la morte del grande re il governatore di Bago aveva tentato di rendersi indipendente e fu un abile generale, Kyanzittha, che sedò la rivolta. Le sue origini non sono molto chiare, su di lui si costruirono molte leggende ma in ogni caso nel 1086 salì al trono e legittimò la sua ascesa sposando la vedova del defunto sovrano. Compi grandi lavori di miglioramento dei sistemi di irrigazione agricola e diede impulso alla costruzione dei grandi edifici sacri che iniziavano a coprire la piana di Bagan. Il suo nome resta per sempre legato a uno dei più celebrati capolavori architettonici birmani: il tempio di Ananda o Anantapan’n’â, la “saggezza infinita”. Fu un devoto buddhista ma seppe anche dimostrarsi accorto uomo di Stato inviando in Cina delle ambascerie di cui fa menzione la Storia dei Song dicendo che nel 1106, in segno di rispetto, l’Imperatore decise di inviargli lettere scritte non su semplice carta ma su “seta a fiori d’oro con retro bianco, chiusa in un cofanetto cerchiato d’oro con serratura d’argento”: il massimo del riguardo verso un “suddito barbaro”. Nel 1112, alla morte di Kyanzittha, salì al trono il giovane nipote Alaung-sithu, noto anche con il nome sanscrito di Jayasura I, che regnò per ben 55 anni. Fu un lungo periodo di pace e prosperità di cui trasse giovamento soprattutto Bagan che si arricchì di numerose nuove opere d’arte nelle quali si afferma pienamente l’originalità del modello birmano dopo il lungo periodo di influenza mon. Non solo l’architettura e le arti figurative, ma tutti gli studi fiorirono e nel 1154 il dotto Aggavamsa compose la famosa grammatica Saddaniti della lingua pali. Alaung-sithu morì nel 1167, forse assassinato dal suo stesso figlio, e fino al 1173 seguì un torbido periodo di cruente lotte per il potere da cui uscì alla fine come vincitore Narapati-sithu che, forse per meglio legittimarsi, assunse il nome di Jayasura II. Il fatto saliente del suo regno é il breve ma sanguinoso conflitto con il re di Sri Lanka che per rappresaglia ai torti fatti dai Birmani ai mercanti singalesi compì con la sua flotta una improvvisa e devastante incursione nel golfo di Mottama. Seguì subito la pace e per suggellarla nel modo più solenne fu inviata a Sri Lanka una delegazione di monaci buddhisti. Un novizio, di nome Chapata, vi venne poi lasciato per completare gli studi nei centri del sapere della ultra-ortodossa setta del Mahavihara. Dieci anni più tardi, nel 1190, Chapata tornò a Bagan e forte del sapere appreso si impegnò in una profonda e radicale azione di riforma della dottrina e dei costumi monastici segnando così in modo definitivo il rigoroso carattere del buddhismo Theravada in Myanmar. Fino alla morte di Narapati-sithu, nel 1210, si può ben dire che Bagan visse una stagione di aureo splendore segnata da numerose nuove raffinate costruzioni che le valsero l’iperbolico epiteto di “città dai quattro milioni di pagode”. Gli ultimi re di Bagan furono anch’essi dei devoti costruttori di templi ma la loro fede non bastò a tenere lontana dal regno la minaccia che incombeva da Nord. Sono state riportate molte versioni degli incidenti “diplomatici” che dopo il 1273 fecero crescere la tensione tra la corte birmana e il potente impero di Qubilai Khan. Con certezza si può solo affermare che nel 1271 i Mongoli avevano cancellato il vecchio regno di Nan-chao annettendosi lo Yunnan e si affacciavano quindi direttamente sulla valle del Ayeyarwady. Qubilai Khan non ascriveva certamente grande importanza al regno di Bagan tanto é vero che, come testimonia Marco Polo, delegò alle forze regionali dello Yunnan il compito di risolvere la questione: non aveva interesse alcun interesse a annettersi la vallata del Ayeyarwady ma non poteva tollerare che un regno confinante non facesse atto di ampia sottomissione all’Impero. Gli scontri si protrassero per una decina di anni durante i quali l’ultimo re birmano Narathita-pati prese anche la fuga meritandosi l’appellativo di Ta-yok-pye-min “colui che é fuggito davanti ai Cinesi” e poi morì ucciso dal proprio figlio. La sorte di Bagan era però ormai segnata e nel 1287 il principe Ye-sin Timur alla testa della sua cavalleria violò le mura che i Birmani avevano frettolosamente innalzato usando anche i mattoni di templi e pagode.
La discesa degli Shan
Shan é il nome con cui sono chiamate le tribù della grande etnia thai che giá nel corso del X secolo si erano stabilite sugli altopiani dello Yunnan e che in coincidenza con la caduta di Bagan iniziarono a discendere massicciamente verso Sud. Una ondata puntò a Ovest, verso l’ Assam, altri si installarono sulle regioni montagnose comprese tra il corso del Thanlwin e quello del Mekong. Molte tribù occuparono invece la regione del medio corso del Ayeyarwady dove raccolsero l’eredità del regno di Bagan. Erano dei montanari non ancora troppo civilizzati ma furono soggiogati dalla raffinata cultura birmana di cui in qualche modo raccolsero l’eredità convertendosi al buddhismo e adottando il birmano come lingua scritta. Loro capitale divenne Inwa, un tempo chiamata Ava. L’antico regno si era però ormai frantumato. Il Rakhine non era più sotto controllo. I Mon si erano resi indipendenti e avevano fissato la loro capitale a Bago. Molti Birmani erano fuggiti verso Sud e avevano fondato un principato indipendente con capitale a Toungoo. Lungo tutto il XIV secolo, mentre il regno di Inwa e il centro del paese erano insanguinati da continue guerre fra tribù shan e principati birmani, anche il regno di Bago non restò indenne dalle cruente lotte per il potere ma, dopo il 1430, riuscì poi per quasi un secolo a vivere una lunga stagione di pace di cui beneficiarono in primo luogo le arti e i commerci, tanto che divenne poi la porta da cui iniziò la penetrazione coloniale europea.
Il secondo Impero birmano
Toungoo, posta sul corso del Sittoung a più di 150 chilometri dal mare in una vallata difesa a Ovest dai monti del Bago Yoma e a Oriente dalle scarpate dell’altopiano Shan, occupa una posizione strategicamente molto favorevole. Per queste ragioni, dopo il crollo di Bagan, molti principi birmani vi cercarono rifugio costruendovi una poderosa cittadella fortificata e fu proprio da questo luogo che, dopo un lungo periodo di due secoli e mezzo di lotte fratricide, ebbe inizio il cammino verso la riunificazione dei regni e la nascita di un secondo Impero. Più cresceva il disordine e infuriavano lotte fra clan avversi in Inwa, più forte diventata la pressione delle tribù shan, tanto più Toungoo appariva ai Birmani come l’unico possibile luogo di rifugio nel paese devastato. Nel 1527 gli Shan posero fine alla finzione dei “re birmani” di Inwa e si impadronirono della città provocando una nuova ondata di esuli in Toungoo. I Birmani sconfitti e cacciati dalla loro antica capitale trovarono finalmente una guida nel vigoroso Tabinshwehti che nel 1531 iniziò la guerra di riconquista del potere. Avvalendosi anche dei primi mercenari portoghesi, nel giro di 15 anni si impossessò del regno Mon e del golfo di Mottama procurandosi un prezioso sbocco sul mare e trasferì la capitale a Bago. Tentò di espandersi a Oriente e compì una incursione verso la capitale siamese Ayutthaya ma non ebbe successo e fu respinto; poi dovette far fronte a un tentativo dei Mon di riacquistare la libertà e nel 1551 morì in combattimento lasciando il trono al cognato Bayinnaung. Costui si dimostrò un brillante stratega e inflisse pesanti sconfitte agli Shan riprendendo il controllo di Inwa e di tutte le grandi pianure centrali. Spinse le sue ambizioni a Oriente fino a minacciare Luang Prabang nel Nord del Laos poi nel 1560 si impadronì di Chang Mai. Nel 1564 iniziò una lunga campagna militare contro il Siam avendo anche come obiettivo, secondo ciò che scrivono i cronisti dell’epoca, di impadronirsi dei sette elefanti bianchi del re Maha Chakra Pat. Nel 1569, dopo un lungo assedio conquistò Ayutthaya, la saccheggiò e prese prigioniero il re siamese e il suo erede lasciando a Ayutthaya un governatore a lui fedele. Bayinnaung mori nel 1581 e il suo impero non gli sopravvisse a lungo. Nel 1584 il Siam riconquistò l’indipendenza e subito dopo attaccò i Birmani sul loro territorio obbligandoli a abbandonare la stessa capitale Bago. Ritiratisi i Siamesi fu la volta dei Rakhine che con rapide incursioni si resero padroni di tutta la regione del delta del Ayeyarwady. I Birmani ripiegarono allora verso il centro del paese e i Mon ripresero il controllo sulle loro terre e Bago tornó a vivere decenni di splendore di cui furono testimoni i mercanti europei che ormai sempre più numerosi giungevano nei porti di tutto il Sud-Est asiatico.
L’ultimo Impero
Tutto il XVII secolo e la prima metà del XVIII sono segnati da feroci lotte tra Birmani, Mon, Rakhine e Shan senza che alcun contendente riesca ad avere il sopravvento. E’ solo nel 1752 che i Mon sembrano avere la meglio: installano un loro re a Bago e conquistano Inwa. Si affaccia allora sulla scena un vigoroso capo clan birmano, Aung Zeya, che li ricaccia e si fa proclamare re con il nome di Alaungpaya. Invade il paese mon e lo rende un deserto, rade al suolo Bago e deporta la popolazione. I pochi sopravvissuti fuggono verso il Siam e le regioni montagnose del Sud. A Nord-ovest Alaungpaya si spinse lungo il corso del Chindwinn sottomettendo i principati induizzati del Maripur. Inwa era tornata a essere il vero cuore del paese e qui confluirono le ricchezze saccheggiate dagli eserciti di Alaungpaya. In seguito, i suoi successori spostarono la capitale prima a Sagaing poi a Amarapura e, infine, a Mandalay ma mai si allontanarono da questa magica ansa dove le acque del Chindwinn si riversano nel Ayeyarwady. Le mire dei sovrani birmani erano in ogni caso sempre volte a Oriente: al ricco e potente regno del Siam. Nel 1767, dopo una lunga campagna e un assedio durato 14 mesi, il re Hsinbiyushin conquistò Ayutthaya e la rase al suolo. Nel 1784 fu la volta del Rakhine a essere sottomesso e “pacificato” dal re Bodawpaya che come bottino di guerra portò, oltre a decine di migliaia di prigionieri, la famosa statua in oro del Buddha Maha Muni. I confini del regno birmano venivano così a raggiungere il Bengala posto sotto il controllo diretto della Compagnia delle Indie e cioé dell’Impero britannico. Nel 1813 salì al trono Bagyidaw, un principe che le fonti inglesi descrivono come “pieno di grazia e dignitoso in pubblico; di affascinanti maniere e assai disponibile in privato”. Commise però la leggerezza di immischiarsi troppo nelle lotte per il potere in Manipur e soprattutto nel vicino Assam. Ci furono sanguinose incursioni oltre frontiera da parte delle truppe birmane e ciò offrì l’occasione agli Inglesi per intervenire con una rapida campagna che li portò nel 1824 a occupare Yangon e la regione del delta. Fu firmato il trattato di Yandabo con cui Rakhine e Tanintharyi cadevano sotto controllo inglese e un residente inglese si stabilì a Inwa, che dal 1823 era tornata a essere capitale.
Il dominio coloniale britannico
Nel 1824 la Gran Bretagna era diventata padrona di Malacca e ora controllava Rakhine e Tanintharyi, ma il suo dominio sulle coste del golfo Bengala e del Mar delle Andamane era ancora incompleto. Mentre preparava le condizioni per imporre al Siam i propri diritti di extra-territorialità e limitazione dei dazi, nel 1852 prese pretesto dai maltrattamenti che avevano subito due suoi ufficiali per lanciare una nuova campagna militare che in breve tempo portò sotto il suo controllo tutta la regione risicola del delta: la cosiddetta Lower Burma. Era il 1853, anno in cui salì al trono Mindon che rompendo con tutte le memorie del passato nel 1857 fondò una nuova capitale a Mandalay. Con fastosa solennità celebrò nel 1871 il sinodo mondiale buddhista ma, sicuramente suggestionato anche dalle grandi riforme della Era del Meiji in Giappone, fece partire le prime ambascerie birmane verso Londra, Washington, Parigi e tentò, poi, di stabilire legami anche con la Russia zarista. La sua morte, nel 1878, pose fine a questa abile azione diplomatica che il figlio Thibaw non fu capace di portare a compimento. Esasperando i propri atteggiamenti di despota orientale si alienò molte simpatie fra i suoi stessi sudditi e la rozza superficialità con cui cercò di negoziare un trattato con la Francia provocò la prevedibile dura reazione inglese.
Le truppe britanniche entrarono a Mandalay nel novembre 1885. Il re e la regina furono esiliati in India e dal 1886 la Birmania divenne una provincia dell’Impero delle Indie. La capitale fu trasferita a Yangon, che allora si chiamava Rangoon. La repentina abolizione della monarchia scardinò però l’ossatura su cui da secoli si reggeva tutto il paese la cui coesione venne frantumata con conseguenti lacerazioni che non si poterono mai più ricomporre. Gli Inglesi instaurarono un sistema pseudo-federale in cui le etnie si videro riconoscere grandi autonomie. In Alta e Bassa Birmania gli Inglesi governavano in prima persona avvalendosi di personale subalterno principalmente indiano. La polizia e le forze armate erano reclutate in India e fra le tribù delle montagne. I capi clan di Shan, Chin, Karen, Kachin non avevano più alcun rapporto con l’amministrazione centrale birmana e governavano in autonomia i loro territori, sotto una formale tutela inglese. Le ultime lotte armate contro il nuovo ordine britannico si spensero nel 1892 e da allora il nazionalismo birmano si manifestò solo più attraverso l’attività di associazioni culturali e religiose fino al 1906 quando prese vita l’Associazione dei giovani buddhisti che nel settembre 1920 si trasformò in Consiglio generale delle associazioni birmane, con l’obiettivo di unificare le opposizioni. Seguirono scioperi degli studenti e manifestazioni di protesta guidate dagli stessi monaci buddhisti. Nel 1923, per tentare di ammortizzare il crescente nazionalismo birmano, gli Inglesi crearono una sorta di diarchia dotando la Birmania di un proprio governo che però solo nel 1937, con il Government of Burma Act, si disgiunse a tutti gli effetti da quello dell’India e assunse una propria reale autonomia all’interno dell’Impero delle Indie. Questa autonomia di governo si esercitava, però, limitatamente alle province di popolamento birmano, mentre le altre etnie continuavano a conservare la loro forma di autogoverno tribale, controllata direttamente dagli Inglesi. I movimenti nazionalisti non si lasciarono disarmare da questa manovra e si coalizzarono in una associazione chiamata Dohbama Asi-ayone che iniziò a praticare in tutto il paese una capillare attività di propaganda antibritannica, soprattutto attraverso la mobilitazione di giovani intellettuali chiamati Thakin, cioé “Maestri”, che percorrevano soprattutto le campagne. Fra i Thakin circolava anche letteratura socialista proveniente dall’India e nel 1939 venne fondato il Partito Comunista di Birmania cui subito dopo fece seguito l’Unione dei Sindacati dei Lavoratori di Birmania. Nel frattempo cresceva fra i giovani anche il potere di attrazione esercitato dal Giappone e dalla sua aggressivo politica nazionalista e antioccidentale. Contro l’ipotesi di chi cercava il sostegno dei comunisti cinesi e tramite loro dell’Unione Sovietica, fu vincente fra i Thakin la tendenza che riponeva le speranze di indipendenza sul Giappone. Quando le truppe giapponesi invasero la Birmania nel gennaio del 1942 era con loro, come alleato e collaboratore, Aung San, uno dei Thakin fuggiti all’ondata di arresti che le autorità coloniali inglesi avevano scatenato nel 1940 e che ora ritornava in patria come capo del Esercito di liberazione birmano. Con Aung San c’erano anche i suoi “trenta camerati” che come lui erano sfuggiti alla polizia britannica e avevano trovato rifugio presso i Giapponesi. Il 1 agosto 1943, Ba Maw, che era già stato capo del governo prima della guerra ed era poi stato imprigionato dagli Inglesi, divenne primo Presidente della Birmania indipendente. La coesione di questo governo era però solo apparente e contrariamente a Aung San, che aveva accettato che nell’esercito si insegnasse ai soldati il giapponese, Ba Maw si oppose fermamente a che questo fosse introdotto nelle scuole. Iniziavano così dei contrasti sempre più marcati fra le diverse componenti birmane ma la svolta effettiva avvenne solo quando le fortune militari del Giappone volsero al peggio. I dubbi crebbero fra i Thakin e, nei primi mesi del 1945, furono aperti dei canali diretti di comunicazione con il comando degli Alleati in India. Il 27 marzo i contingenti birmani di Aung San presero le armi contro l’esercito giapponese in attesa delle truppe alleate che giunsero a liberare Yangon il 1 maggio 1945. Finita la guerra, la lotta proseguì sul terreno politico: i Birmani reclamavano una immediata indipendenza mentre gli Inglesi erano intenzionati a procedere con gradualità. Il 27 gennaio 1947 Aung Sa ottenne, infine, di firmare a Londra l’atto con il quale veniva riconosciuta l’indipendenza della Birmania e la sua uscita dal Commonwealth. Era così regolata la questione nazionale, ma restavano ancora da regolare le contese fra le diverse fazioni birmane. Le elezioni svoltesi nel mese di aprile diedero la maggioranza al partito di Aung San ma il 19 luglio egli fu ucciso con altri sei membri del suo governo.
Una tormentata indipendenza
Fu il riformista moderato U Nu che assunse la guida del paese nel momento in cui il 4 gennaio 1948 veniva solennemente proclamata la nascita dell’Unione Birmana. Il paese fu però immediatamente lacerato da una guerra senza confini tra fazioni fi lo-comuniste, soldataglie nazionaliste del Kuomintang che fuggivano dalla Cina, bande di trafficanti di oppio, milizie armate delle varie etnie e truppe governative. Fu una tragedia che durò per dieci anni fino a che U Nu nel 1958 non pose alla guida del governo il generale Ne Win che in due anni riuscì a pacificare il paese quel tanto che bastava per tenere nel 1960 le elezioni politiche generali che diedero nuovamente la maggioranza al partito di U Nu. Il tentativo di fare del buddhismo la religione di Stato e l’intenzione di concedere una forma di relativa autonomia ai Rakhine e ai Mon scatenò la violenta reazione delle altre etnie, di molti Birmani e delle minoranze cristiane, induiste e musulmane. Il generale Ne Win il 2 marzo 1962 riprese in mano la situazione con un colpo di Stato che non incontrò alcuna resistenza. Fu soppressa la Costituzione del 1947, disciolto il Parlamento e arrestati quasi tutti i dirigenti politici, compreso U Nu. Fu costituito un Consiglio della Rivoluzione che era composto da 17 alti ufficiali. Il 30 aprile 1962 fu proclamata “La Via Birmana al Socialismo” e fu approvato il programma del Partito Socialista Birmano, il BSPP, che prevedeva tra le altre cose la nazionalizzazione delle attività produttive e commerciali, la neutralità e il non-allineamento, la parziale chiusura a investimenti stranieri e limitazioni al turismo. Il 3 gennaio 1974 venne approvata una nuova Costituzione e, subito dopo, nel mese di marzo il Pyithu Hluttaw, l'Assemblea Popolare composta da 450 membri eletti a suffragio universale, nominò il Consiglio di Stato, l’organo esecutivo che prendeva il posto del disciolto Consiglio della Rivoluzione ma che, anch’esso, era composto in larga parte da militari. A capo del Consiglio di Stato fu nominato Ne Win che così divenne anche presidente della Repubblica Socialista della Unione di Birmania. Nel 1981 Ne Win cedette le sue cariche istituzionali a San Yu ma restò presidente del BSPP. Il 1988 è un anno di fuoco e viene versato sangue in tutto il paese: gli avvenimenti si succedono a un ritmo incalzante. A luglio, Ne Win si dimette dalla presidenza del BSPP ed è sostituito dal generale Sein Lwin, capo della polizia, che diventa anche presidente del Consiglio di Stato. In agosto viene proclamata la legge marziale, ma ci sono manifestazioni di protesta che sono violentemente represse con alcune migliaia di morti; Sein Lwin è costretto a cedere tutti i suoi poteri a un civile, Maung Maung. A settembre l’Assemblea Popolare mette fi ne al regime di partito unico del BSSP; Maung Maung viene però destituito dal generale Saw Maung, suo Ministro della Difesa, che prende il potere con altri 18 ufficiali costituendo lo SLORC, il Consiglio di Stato per il Ripristino della Legge e dell’Ordine, che instaura nuovamente la legge marziale. Il 3 ottobre la NLD, Lega Nazionale per la Democrazia, principale partito di opposizione, ottiene il riconoscimento legale. A maggio 1990 si svolsero finalmente le elezioni politiche e la NLD con il 59.9% dei voti ottenne 392 seggi su 485 mentre il NUP, nuovo nome del BSPP, pur con il 21,2% dei voti non ebbe che soli 10 seggi. Lo SLORC non contestò questi risultati elettorali ma di fatto non cedette il potere e mantenne agli arresti domiciliari il leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi che nel 1991 ottenne il premio Nobel per la Pace. Nell’aprile 1992 Saw Mang viene sostituito dal generale Than Shwe come capo dello Stato. Nel luglio 1997 l’Unione di Myanmar diventa membro dell’ASEAN, la Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico e a novembre lo SLORC si trasforma nel SPDC, il Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo. Nell’ottobre 2004 un altro generale, Soe Win, diventa Primo ministro e a novembre del 2005 gli arresti domiciliari di Aung San Suu Kyi vengono ulteriormente prolungati. Il 27 marzo 2006 la capitale è stata spostata da Yangon a Pyinmana, oggi rinominata Naypyidaw, la Sede dei Re, una cittadina di circa 100.000 abitanti più a nord di Yangon. Nell’autunno del 2007 il paese è scosso da grandi manifestazioni popolari di protesta contro il raddoppio del prezzo del carburante che trascina con sé l’aumento di tutti i generi di consumo. Per la prima volta i monaci scendono massicciamente in piazza a fianco degli studenti e della gente del popolo. La giunta risponde con l’abituale durezza e la protesta viene soffocata fra il sangue e gli arresti. La “pace dei generali” sembrava nuovamente calata sul paese che nel maggio 2008 fu anche devastato dal ciclone Nargis che nel delta del Ayeyarwady provocò più di 130.000 morti e arrecò immani distruzioni. Nel novembre 2010 si sono tenute le elezioni generali previste dalla nuova costituzione approvata nel 2008. Queste elezioni, secondo la giunta militare al potere, dovevano rappresentare un ulteriore passaggio sulla strada della democratizzazione del paese. Qualche mese prima delle elezioni, il Ministro dell’Interno, generale Maung Oo, ha però comunicato che Aung San Suu Kyi e il suo vice Tin Oo sarebbero stati liberati solamente dopo la tornata elettorale. La NLD ha quindi boicottato le elezioni e il NUP è rimasto saldamente al potere tra le accuse di brogli della comunità internazionale. Aung San Suu Kyi ha vissuto agli arresti domiciliari dal 1990 al 1995 e dal 2003 a tutto il 2010 quando è stata finalmente liberata il 13 novembre ed ha così potuto riprendere l’attività politica. Il 2012 si può considerare l’anno della svolta perché il nuovo presidente, l'ex-generale Thein Sein alla guida di un governo formalmente civile, ha fatto aperture fino a quel momento impensabili, come la liberazione dei prigionieri politici, l'allentamento della censura, la legalizzazione della LND e alcuni importanti accordi con i gruppi armati delle minoranze etniche. Si sono svolte elezioni suppletive per 45 dei 1160 seggi del Parlamento e la NLD ha conquistato 44 seggi e Aung San Suu Kyi è stata eletta nella sua circoscrizione. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno revocato l’embargo economico e hanno cominciato ad affluire in Myanmar gli investimenti stranieri. Dal 1 gennaio 2014 Myanmar ha assunto la Presidenza dell’ASEAN, carica che avrebbe dovuto ricoprire già nel 2006 ma, allora, le pressioni politiche e economiche di alcuni Paesi occidentali obbligarono l’ASEAN ha fare “slittare” il provvedimento. Ora la situazione è cambiata, soprattutto dopo che per due volte, nel 2012 e nel 2014, il presidente americano Obama ha fatto ufficialmente visita in Birmania. Si è così posto fine al formale embargo cui da anni il paese era sottoposto da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e le tante compagnie occidentali, soprattutto petrolifere, che per anni avevano continuato celatamente a fare affari con il governo birmano ora possono condurre i loro business alla luce del sole. La Cina, che non si era comunque mai troppo preoccupata di sottigliezze morali o ideologiche e aveva continuato a commerciare e investire in Birmania, ha risposto a questa calata dell’occidente moltiplicando i propri investimenti nel settore petrolifero e nelle infrastrutture viarie ed elettriche. Conseguenza non ultima di questa svolta è stata, inoltre, un improvviso aumento degli arrivi di turisti occidentali e, sul piano interno, la liberalizzazione degli accessi a Internet e il boom nella diffusione della telefonia cellulare, sino allora rigidamente controllata. E’ sufficiente pensare che i telefoni mobili che erano 1.140.000 nel marzo 2011 sono diventati più di 8.300.000 nell’aprile 2014. Non è un indice assoluto di libertà e progresso, ma è comunque un dato abbastanza significativo di una progressiva trasformazione del paese. La vera svolta è però avvenuta l’8 novembre 2015, quando si sono svolte le elezioni politiche generali per eleggere i membri della “camera bassa”, la Camera dei Rappresentanti, e della “camera alta”, la Camera delle Nazionalità, del parlamento birmano. Sono state le prime elezioni generali libere dal 1990, quando le elezioni furono annullate dalla giunta militare in seguito alla vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia. La Lega nazionale per la democrazia, LND, guidata dal premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, ha ora ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi: il 57,95% alla Camera dei Rappresentanti e il 60,27 alla Camera delle Nazionalità.
Il 15 marzo 2016, le Camere riunite hanno eletto come Presidente di Myanmar l’economista Htin Kyaw, stretto collaboratore di Aung San Suu Kyi, che non ha potuto essere eletta in quanto l’articolo 59 della Costituzione vieta a chiunque abbia legami di stretta parentela con degli stranieri di ricoprire la carica di Presidente della Repubblica dell’Unione di Myanmar.