L’uso dell’oppio era conosciuto in tutto il Sud-Est asiatico fin dal Medioevo, ma solo a fini terapeutici. In tempi in cui le conoscenze mediche erano limitate questa sostanza composta da una dozzina di alcaloidi, il più importante dei quali è la morfina, appariva come una panacea atta a curare molti mali. Veniva principalmente usato come analgesico, ma trovava largo uso anche nella cura di alcune forme di pneumonie, peritoniti e meningiti. Se ne faceva ricorso per curare febbri malariche, vaiolo e alcune forme di scarlattina e di morbillo. Era anche l’unico rimedio efficace contro la dissenteria cronica e il colera. Pochissime persone però, anche in Cina, lo consumavano per le sue proprietà psicotrope.
Intorno al 1820 il volume degli acquisti inglesi in Cina di the, ceramiche e sete era cresciuto in modo enorme ma la Cina non acquistava che scarsi quantitativi di prodotti occidentali e pretendeva il pagamento in denaro dei propri beni esportati. Per riequilibrare questa bilancia di pagamenti a loro sfavorevole i mercanti inglesi iniziarono a importare di contrabbando l’oppio che era prodotto in Bengala in regime di monopolio dalla Compagnia delle Indie. La richiesta fu tanto alta da arrivare a coprire il 18% del bilancio di tutta l’India. In Cina, l’uso dell’oppio era proibito, se non per fini medici, ma tale “cultura” non fece fatica a diffondersi tra i ceti medi dei mercanti, dei piccoli funzionari, degli ufficiali e di quanti altri speravano di trovare nei “paradisi” della droga una via di fuga alle frustrazioni o difficoltà quotidiane.
Il successo commerciale fu enorme. Tra il 1820 e il 1825 furono importate clandestinamente 9700 casse di oppio, cioè circa 640 tonnellate, che nel quinquennio successivo salirono a 1230 e un vero boom si ebbe tra il 1830 e il 1835 quando furono complessivamente contrabbandate 2400 tonnellate di oppio. Nel 1838 si raggiunse la cifra di 3200 tonnellate annue, consumate da più di 4 milioni di oppiomani che peraltro erano tutti appartenenti ai ceti medio-alti della società cinese. Le fonti ufficiali danno una popolazione complessiva di 410 milioni di persone nel 1839 in Cina; gli oppiomani erano quindi l’uno per cento della popolazione.
Il governo cinese, preoccupato per il diffondersi della droga, nominò Commissario imperiale straordinario il letterato Li Ze-xu che prima scrisse una accorata lettera alla regina Vittoria poi fece arrestare 1600 spacciatori cinesi e fece bruciare 5 tonnellate di oppio e infine sequestrò e fece dare alle fiamme 14 tonnellate di droga detenute dai mercanti occidentali. Ordinò poi la chiusura del porto di Canton.
Gli inglesi reagirono scatenando la “prima guerra dell’oppio” che si concluse con il trattato di Nanchino del 1842 che apriva i porti cinesi alle navi inglesi. Nel 1858 ci fu una “seconda guerra dell’oppio”, cui prese parte anche la Francia, e che si concluse con la presa di Pechino e il saccheggio del Palazzo d’Estate. La via “legale” al traffico della droga era ormai spalancata. Il governo cinese si sentì indotto a tassare l’oppio importato e a riesportarlo verso gli altri paesi del Sud-Est asiatico. La domanda cresceva e nel sud della Cina iniziò la sua coltivazione che facilmente si estese oltre le frontiere meridionali, in quelle vaste regioni montagnose dove non poteva esistere alcun controllo.
I Francesi, da parte loro, non esitarono di fronte a questa fonte di lucro e l’Amministrazione coloniale in Indocina instaurò il Monopolio di Stato sulla vendita dell’oppio. L’oppio veniva acquistato a Calcutta, dagli inglesi e rivenduto a prezzo molto maggiorato in Vietnam, Laos e Cambogia. Queste entrate coprivano più del 20% delle spese totali dell’Amministrazione francese. Il contrabbando era ovviamente represso con dura efficienza. Nacquero così nuove e più estese coltivazioni clandestine di oppio in queste isolate regioni montane che corrispondono al cosiddetto “Triangolo d’oro”.
Non erano viziosi ma poveri e disperati
L’importanza e quindi la fama del Triangolo d’oro esplose negli anni ’60 quando, per combattere le forze del Pathet Lao e i vietcong, gli americani arruolarono come mercenari intere tribù di etnie delle montagne. Erano soprattutto miserabili contadini h’mong e wa che vivevano di una magra e precaria economia di sussistenza basata sulla coltivazione del papavero da oppio. In pagamento, gli furono fornite le armi e fu loro concesso di coltivare liberamente l’oppio, che era poi avviato verso dei laboratori clandestini nei quali era trasformato in eroina che era smerciata in tutto il Sud Vietnam e nelle stesse basi militari americane in Vietnam e Thailandia. Sfidando le opposizioni del Narcotic Bureau, il commercio prosperò non ostante che la Air America, una compagnia aerea che agiva per conto della CIA, fosse stata posta sotto inchiesta per avere trasportato regolarmente i carichi di oppio. L’inchiesta non ebbe seguito.
Finita la guerra, furono i capi banda locali, che sino a allora si erano arricchiti con questi commerci, a mantenere in piedi l’attività usando la rete di rapporti e connivenze precedentemente stabilitesi. La produzione di oppio oggi continua, anche se molto ridimensionata e la fama del “Triangolo d’oro” si è piuttosto appannata. Ancora nel 1995, da questa zona provenivano 1803 tonnellate di oppio, pari al 40,5 % della produzione mondiale, facendo la fortuna di personaggi quali il quasi mitizzato Khun Sa, ma solo cinque anni dopo ci fu il crollo e nell’anno 2000 era l’Afghanistan che con una produzione di 4.565 tonnellate di oppio ogni anno copriva il 79% della produzione mondiale. Nel 2001, sotto il regime dei Talebani, la produzione scese a sole 156 tonnellate, ma già nel 2002 risalì a 3.350 poi divenute 5.500 nel 2013, e poi sono ancora aumentate. Il World Drug Report 2018 dell’ONU https://www.unodc.org/wdr2018/ dice che nel 2017 la produzione mondiale di oppio è stata di 10.500 tonnellate, 9.000 delle quali, pari al 86%, provengono dall’Afghanistan mentre la Birmania si attesterebbe sul 10%. Sono comunque dati incompleti e già vecchi quando vengono pubblicati e sono presentati in fumose tabelle che mascherano una realtà assai allarmante: dal 2016 al2017 la superfice delle coltivazioni di oppio è aumentta del 37%.
Si dice che siano i Talebani a produrre l'oppio per finanziare la loro guerra ma pare piuttosto improbabile che questi "fanatici integralisti" possano violare così apertamente la legge islamica. In ogni caso, se anche ciò fosse vero, pare impossibile che la Coalizione non possa stroncare questa pericolosa fonte di finanziamento perché, è noto, l'oppio si trae dal papavero che si coltiva in vaste estensioni di terreno, a cielo aperto. La Coalizione ha il totale controllo dei cieli e possiede una formidabile flotta aerea con cui potrebbe inondare di napalm le coltivazioni dei Talebani. Se non lo fa un motivo deve esserci. Quale? Chi è che coltiva veramente l'oppio? Chi ne assicura il trasporto fino alle raffinerie di eroina?
Se non si risponde a questi quesiti diventa legittimo pensare che le truppe impegnate in Afghanistan, e quindi anche il contingente italiano, abbiano svolto un inconsapevole ruolo di protezione dei signori dell'oppio.