Il 16 marzo 1968 tre plotoni di soldati Usa della Compagnia Charlie furono inviati nel villaggio sudvietnamita di My Lai, sospettato di nascondere vietcong, con il compito di uccidere tutti i combattenti nemici individuati.
I soldati Usa trovarono nel villaggio soprattutto donne, vecchi e bambini, che cominciarono a uccidere in moto metodico, per alcune ore. Un massacro sistematico che portò alla morte di un numero ancora oggi imprecisato di civili, con cifre oscillanti tra le 350 e le 500 vittime. Il massacro di My Lai resta una delle pagine più orribili della storia americana. E ancora oggi, a oltre 40 anni di distanza, il racconto dell'accaduto mette i brividi. "I soldati Usa cominciarono a sparare su tutti: uomini disarmati, donne, bambini, neonati - narra una ricostruzione fatta dai giornalisti americani - Le casupole dove si erano rifugiate le famiglie furono fatte saltare in aria con le bombe a mano. Chi usciva a mani alzate venne assassinato. Donne vennero stuprate da gruppi di soldati. Alcuni abitanti vennero trafitti con baionette, mutilati, marchiati sul petto con la 'C' della Compagnia Charlie. Gruppi di abitanti vennero allineati nei canali di irrigazione e massacrati a decine alla volta". "Le pallottole sembravano pioggia. Un soldato ha preso mia madre per i capelli e poi l'ha uccisa senza pietà", ha raccontato Hai Thi Quy, una delle poche superstiti, la cui famiglia fu sterminata.
Nella strage si distinse il tenente William Calley, che ordinò agli uomini del plotone di uccidere tutti: sopravvissero soltanto 20 persone. L'unico ferito della giornata fu un soldato statunitense, che si sparò su un piede per non partecipare al massacro. Uno dei pochi personaggi Usa positivi della vicenda è il pilota d'elicottero Hugh Thompson che, giunto a My Lai quando la strage era ormai compiuta, tentò di portare in salvo i pochi abitanti superstiti ordinando ai suoi uomini di sparare sui soldati della Compagnia Charlie se avessero tentato di bloccarlo o se avessero ucciso i feriti che stava caricando sulle barelle.
L'operazione venne archiviata dai comandanti militari Usa come l'uccisione di "128 vietcong dopo una feroce battaglia": i soldati di My Lai ricevettero le congratulazioni del generale William Westmoreland, responsabile delle operazioni in Vietnam.
Il massacro sarebbe rimasto sconosciuto per sempre se non fosse stato per il soldato Ron Ridenhour, un ex membro della Compagnia Charlie che nel marzo 1969 inviò una serie di lettere alla Casa Bianca, al Pentagono e al Congresso per denunciare l'accaduto. Dopo alcuni mesi le autorità militari avviarono una inchiesta che portò all'incriminazione di Calley e di altri 26 ufficiali. Solo nel novembre 1969 la strage diventò di pubblico dominio grazie al giornalista Seymour Hersh. La diga del silenzio venne infranta. Pochi giorni dopo Times e Newsweek dedicarono storie di copertina alla vicenda. Vennero poi pubblicate le foto scattate da Ron Haeberle, che dimostravano senza ombra di dubbio l'orrore di quel giorno. La rivelazione del massacro causò un trauma nazionale, dando forza al movimento contro la guerra. I processi militari si conclusero con la condanna di un solo imputato, Calley che, secondo le testimonianze, radunò al centro del villaggio un gruppo di 80 persone e ordino ai suoi uomini di aprire il fuoco uccidendone gran parte. Esauriti i colpi, Calley strappò l'arma a un soldato che si era rifiutato di uccidere altre persone, usandola per portare avanti la strage. Fu condannato all'ergastolo nel 1971 da una Corte marziale per l'uccisione di 22 persone. Dopo quattro mesi e mezzo di prigione militare, l'allora presidente Usa Richard Nixon commutò la pena in tre anni di arresti domiciliari. Calley venne infine rilasciato nel settembre del 1974. Un epilogo che ha reso ancora più vergognosa, per l'America, la pagina già orribile della strage di My Lai.
La sua linea difensiva era stata quella di "aver eseguito ordini dei superiori". Il suo comandante però, il capitano Ernest Medina, è stato giudicato non colpevole, così come tutti gli altri 26 ufficiali processati per la strage. Tutti innocenti?