Nel 1865, dopo avere occupato la Cocincina e stabilito il protettorato sulla Cambogia, gli ammiragli francesi si resero conto che era ben misero il bottino che potevano trarre da queste povere regioni agricole. In Francia cresceva il malcontento per queste operazioni onerose sul piano militare e su quello finanziario ma che non fornivano gli sperati benefici economici. Tutti vagheggiavano invece le sterminate ricchezze che era comune convinzione si celassero invece nelle misteriose province interne della Cina.
La spedizione dell’esploratore inglese Thomas Blakiston, che nel 1861 partendo da Shanghai aveva risalito per oltre tremila chilometri il corso dello Yangtze, aveva fatto temere che l’Inghilterra, dopo essersi impossessata dei più importanti porti marittimi, risalendolo Yangtze potesse mettere le mani anche sul cuore della Cina.
Il Mekong, del cui tracciato poco si conosceva ma che si sapeva che scendeva dal Tibet e dallo Yunnan, poteva essere una via alternativa per penetrare nell’impero cinese e perciò nel 1865 il Ministro della Marina, Chasseloup-Laubat, decise un’esplorazione del medio e alto corso del fiume. Il Governatore di Indocina, l’ammiraglio Lagrandière, ne affidò il comando al capitano di fregata Doudart de Lagrée che già si era reso prezioso facendo accettare al giovane re di Cambogia, Norodom, le clausole del trattato di protettorato francese. Il comandante in seconda era Francis Garnier, un giovane ma già esperto ufficiale di marina che fungeva anche da geografo della spedizione.
Il suo compito principale era quello di determinare il punto geografico delle località raggiunte fissandone le coordinate; con gli strumenti usati in mare doveva fissarne la latitudine e la longitudine e individuarne l’altitudine redigendo poi, per il Ministero della Marina, una dettagliata relazione sul tragitto percorso dalla spedizione. In una missione di esplorazione questo era l’incarico forse più importante ma probabilmente non era sufficiente per saziare la curiosità e lo spirito di avventura di quest’uomo di 27 anni d’età. Altrettanto curioso, ma meno irrequieto, era un altro giovane membro della spedizione, il ventiquattrenne Louis Delaporte che, in un mondo che ancora non aveva inventato le Leica, aveva il non facile compito di illustrare il viaggio con i suoi disegni e acquerelli.
La spedizione partì da Saigon il 5 giugno 1866 a bordo di una cannoniera a vapore e risalì il Mekong fino a Phnom Penh da dove si inoltrò nel Tonle Sap per raggiungere il sito di Angkor dove Garnier stabilì le coordinate geografiche del sito e Delaporte diede sfogo al suo estro realizzando suggestivi disegni di Angkor Vat che accesero le fantasie di tutti coloro che poi in Francia li ammirarono.
Lasciata Angkor e tornata sul corso del Mekong, la spedizione proseguì verso Nord e agli inizi di luglio giunse a Kratie dove terminava il tratto di fiume sino ad allora conosciuto. A monte c’erano le temibili rapide di Sambor su cui nessun battello a vapore si era mai inoltrato e le sole notizie che si aveva erano quelle portate da chi, in piroga, aveva saputo sfidare il fiume. Iniziava qui il vero viaggio di esplorazione e bisognava abbandonare la cannoniera per procurarsi delle barche di legno e bambù, a fondo piatto, su cui caricare uomini e materiale. Una decina di battellieri per ogni barca doveva con delle lunghe pertiche spingere sul fondo del fiume o sulla riva, quando questa era prossima, per fare avanzare a forza di braccia l’imbarcazione lungo i punti in cui la corrente era meno violenta. Tre giorni furono necessari per superare questo primo ostacolo e raggiungere Stung Treng dove la spedizione dovette fare una sosta di tre settimane per mandare indietro le barche che aveva noleggiato a Kratie e procurarsene delle nuove per proseguire il viaggio. Questo fu un problema che sempre perseguitò la spedizione che era costretta di volta in volta a fare lunghe soste per cercare nuove imbarcazioni e nuovi equipaggi in quanto, come lamentava il comandante Doudart de Lagrée, l’Amministrazione coloniale aveva concesso un veramente misero finanziamento e la spedizione non aveva potuto permettersi di acquistare delle proprie barche.
Giunta ai piedi delle cascate di Phapheng la spedizione fu comunque costretta a lasciare il corso del fiume, in quel punto assolutamente non navigabile, e risalire a piedi il dislivello trasportando tutti i propri bagagli a monte. La navigazione riprese dall’isola di Khong ma dopo poco, alla confluenza con il fiume Mun, incontrò l’ostacolo di violente rapide e, come scrive Garnier nella sua relazione, “l’ultimo giorno dell’anno 1866 lo passammo cercando di superarle. Fu necessario scaricare completamente le barche e farle passare a forza di braccia sopra le rocce”.
La risalita del fiume continuò alternando giorni di facile navigazione ad altri di dura fatica per superare a piedi nuove rapide che rendevano il fiume sempre più difficilmente navigabile fino a che il 3 aprile 1867 la spedizione giunse alle rovine di Vientiane che era stata rasa al suolo nel 1830 dai Siamesi.
Erano già trascorsi dieci mesi dal giorno della partenza da Saigon e tutti i membri della spedizione ormai non possedevano neppure più un paio di calzature ed erano costretti a camminare a piedi nudi. Per dormire, si accampavano sulle rive del fiume o, talora, trovavano ospitalità nelle capanne di qualche villaggio e il cibo dovevano procurarselo dai locali oppure, se erano fortunati, cacciando la rara selvaggina che riuscivano ad avvicinare. Era una spedizione piuttosto male in arnese quella che alla fine del mese di aprile giunse a Luang Prabang dopo avere superato con enorme sforzo altre vorticose rapide alla confluenza del fiume Thon e a Keng Luong.
Nessun Europeo si era mai avventurato oltre Luang Prabang e l’unico a essere giunto fin qui era stato Henri Mouhot, lo “scopritore” di Angkor, che aveva lasciato testimonianza del suo viaggio nel Diario che in quegli anni era stato pubblicato in Francia. Mouhot era morto qui, a Luang Prabang, il 10 novembre 1861 e Doudart de Lagrée, prima di partire, volle salire al luogo in cui il suo corpo era miseramente interrato e fece costruire una degna sepoltura. Iniziava ora un viaggio verso l’ignoto e la spedizione si liberò di tutto il bagaglio non indispensabile poi riprese il viaggio sempre rallentato dal continuo cambio di imbarcazioni ed equipaggi. Dopo avere superato altre pericolose rapide a metà giugno poterono fare sosta presso le rovine dell’antica Chiang Saen che nel XIII secolo era stata capitale di Mengray, il fondatore del regno di Lan Na. Ormai la navigazione sul Mekong si avviava alla fine perché le rapide di Tang Ho erano invalicabili e la sola soluzione possibile era quella di procedere via terra e tentare di seguire a distanza il corso del Mekong.
Al posto delle barche ora bisognava usare buoi e portatori per valicare una serie infinita di catene montuose trasversali al corso del fiume. Iniziò così per la spedizione una vera odissea tra borghi selvaggi abitati da minorità etniche che erano governate da principi birmani oppure da signorotti feudali cinesi. Nel descrivere questi luoghi la relazione di Garnier diventa quasi un affascinante romanzo di avventura ma il positivista che vive in lui riesce anche a farne uno stupendo trattato di etnologia. Il corso del Mekong si era volto a Nord-Ovest ed era ormai lontano dallo sguardo degli esploratori ma si faceva sempre più vicina l’agognata meta della Cina.
Il 19 settembre, scrive Garnier, “attraversammo un fiume su un ponte in pietra a volta con il parapetto decorato con leoni in pietra e, oltre, la strada era pavimentata con mattoni”. Questo concreto simbolo della civiltà cinese indicava a tutti che finalmente avevano raggiunto lo Yunnan che però in quegli anni era sconvolto da rivolte delle popolazioni islamiche ed era in preda alle contese fra principi birmani e signori cinesi che pretendevano di governare un paese che non controllavano. Un mese più tardi, finalmente, i resti della spedizione entrarono in Se-mao, il capoluogo provinciale dove risiedeva il Governatore imperiale. Con grande amarezza, Garnier scrisse: “Con i vestiti stracciati, senza scarpe, non avendo altra insegna che gli sbiaditi galloni della giacca di Doudart de Lagrée che facesse riconoscere in noi i rappresentanti di una delle più potenti nazioni del mondo, dovemmo fare una ben misera impressione agli occhi del popolo cinese tanto formalista e che attribuisce grandissima importanza all’aspetto esteriore”.
Solo alla fine di dicembre 1867 la spedizione, con una penosa marcia attraverso il gelido altopiano, riuscì a raggiungere la capitale regionale Yu-nan-fu, poi proseguì verso Est attraversando la valle di uno degli affluenti dello Yangtze. Fu un momento di grande entusiasmo per tutti i membri della spedizione ma la gioia venne subito cancellata dalla malattia che colpì Doudart de Lagrée che, ormai confinato in un letto da cui non si alzerà più, il 30 gennaio 1868 cedette il comando a Garnier con l’incarico di completare l’esplorazione dello Yunnan e di tutte le sue risorse. Il 20 aprile Garnier giunse infine al porto fluviale di Lao-ua-tan dove si imbarcò su una giunca che scendeva lo Yangtze. Il 12 giugno raggiunse Shanghai e il 29 dello stesso mese era di ritorno a Saigon.
Questa è la storia di quel viaggio durato due anni e venticinque giorni e conclusosi con la costatazione che era impossibile risalire in barca il Mekong dalla Cocincina allo Yunnan. Durante il tragitto da Se-mao a Yu-nan-fu accadde però un fatto che al momento parve irrilevante ma che in seguito modificò totalmente la politica coloniale francese e condusse Garnier alla morte. Nei pressi di Lin-ngan, Garnier raccolse dettagliate informazioni su un fiume chiamato Ho-ti Kiang che attraversava tutto l’altopiano da Ovest a Est toccando la città di Mang Ko che era un importante centro commerciale dove arrivavano le carovane dei mercanti di Canton per acquistare il rame, lo zinco e lo stagno proveniente dalle ricche miniere yunnanesi. Dopo Mang Ko il fiume diventava facilmente navigabile e procedendo verso Est arrivava a Lao Cai doveva prendeva il nome di Song Cai, il Fiume Rosso che toccava poi Hanoi e sfociava nel Golfo del Tonchino. Garnier scrisse allora nella sua relazione alle Autorità coloniali: “la nostra colonia di Cocincina è legittimamente chiamata, per la forza stessa delle cose, a prendere il posto di Canton. Saigon ha ottimi collegamenti marittimi con il Golfo del Tonchino e può quindi offrire ai prodotti dello Yunnan e dell’Indocina settentrionale un migliore sbocco commerciale”.
Con queste parole Garnier apriva la strada al cambio di strategia francese in Vietnam. Non era più il Mekong ma il Fiume Rosso la via di penetrazione in Cina e così nel 1873 cominciava la “Guerra del Tonchino” che si sarebbe conclusa solo ottantuno anni più tardi a Dien Bien Phu. Garnier, che era a capo del contingente francese inviato per occupare le piazzeforti vietnamite sul Fiume Rosso, cadde in una imboscata e fu ucciso alle porte di Hanoi il 21 dicembre 1873. Aveva trentaquattro anni.
(tratto da: Claudio Bussolino, Indocina - Polaris)