Il sito di Roluos, l’antica Hariharalaya, è il luogo in cui Jayavarman II gettò le fondamenta sulle quali i suoi successori edificarono la grandezza di Angkor, da qui, dai templi del IX secolo inizia l’itinerario attraverso l’architettura imperiale khmer.
Il Prah Ko, il primo tempio costruito da Indravarman I nel 879 è il perfetto archetipo di santuario dinastico. Costruito prevalentemente in laterite e muratura è chiuso entro un perimetro di circa 100 metri di lato. Il gopura Est, a pianta cruciforme e realizzato in laterite e muratura con pregevoli soglie, riquadri dei portali e finestre a colonne tornite in arenaria, dà accesso al primo cortile dove sussistono i resti di costruzioni in laterite e mattone ingentilite da eleganti sculture abbozzate a bassorilievo. Un secondo gopura introduce al cortile interno di 58 metri per 56, il vero "sancta sanctorum", dove su una modesta piattaforma rettangolare si alzano 6 prasat disposti su doppia fila. Ai piedi della piattaforma, sono accosciate tre statue di Nandin con il capo volto all'ingresso di ognuno dei tre santuari principali cui si accede da tre brevi scale fiancheggiate da una coppia di poderosi leoni in arenaria le cui possenti masse muscolari, la folta criniera, le fauci spalancate, lo slancio aggressivo del corpo, esprimono tutto il vigore di un regno che sta lottando per affermare la sua egemonia. Particolarmente rimarchevoli sono i tre prasat anteriori che sono dedicati alla memoria sacralizzata degli antenati della linea maschile. Un basamento in arenaria modellata sostiene il prasat che si eleva su quattro piani sovrapposti che si riducono di dimensioni in una forma progressivamente piramidale, Le pareti sono in mattone accuratamente levigato poi scolpito e infine ricoperto di pannelli di stucco riccamente scolpito, decorato e dipinto. Tempo, piogge e venti hanno cancellato anche il ricordo di questo splendore. L'opera distruttrice del tempo ha colpito anche la nobile arenaria ma le colonne, gli architravi e i bassorilievi incastrati nella muratura che raffigurano dei dvarapala testimoniano un'arte già matura e raffinata. Nei tre prasat posteriori, dedicati al culto delle antenate della linea femminile, le dimensioni sono ridotte e la prospettiva verticale è meno marcata. Raffinate ed eleganti sono le immagini delle devata e le decorazioni dei riquadri, delle colonne e degli architravi delle porte a Est, mentre le tre false porte sono in muratura mentre le false porte dei tre prasat orientali sono degli imponenti monoliti in arenaria, sapientemente lavorati, decorati, cesellati e scolpiti. Prah Ko potrebbe essere definita una opera arcaica rispetto alla classicità angkoriana, invece è il modello esemplare di tutta una tipologia religiosa che troverà il suo sviluppo e compimento nei secoli successivi. Un rapido trasferimento in auto, oppure una passeggiata di poche centinaia di metri sotto l'ombra delle alte piante, portano al profondo bacino che circonda il perimetro di 700 metri per 900 del grande tempio-montagna Bakong, che Indravarman I fece costruire nel 881. Opera immensa e maestosa che nella volontà del re costruttore voleva segnare anche simbolicamente l'affrancamento del regno dei Kambuja da Giava: la mappa del Bakong è infatti quasi esattamente sovrapponibile a quella del Borobudur dei Sailendra, signori di Giava. Una massicciata lunga 60 metri e fiancheggiata da due imponenti e minacciosi naga porta al cortile interno di 400 metri per 300 dove al centro domina la mole del tempio la cui base di 67 metri per 65 si alza su cinque terrazze rivestite in arenaria fino ad una altezza di 14 metri. Pur sulle vaste dimensioni appare evidente l effetto di prospettiva tanto caro agli architetti khmer: l'altezza dei gradoni diminuisce salendo in altezza e le statue di leoni ed elefanti si riducono di dimensioni così come si accentua la ripidità delle scale. Sulla quarta terrazza dieci cappelle in pietra ospitavano i "dieci corpi spirituali di Shiva". Le pareti erano decorate a bassorilievo con motivi floreali ma ora non ne resta che qualche vaga traccia. La parete della penultima terrazza era decorata da un bassorilievo ispirato ai temi della mitologia shivaista ma il tempo ha cancellato quasi ogni immagine salvo una "metopa" sul lato Sud dove con vivo realismo e potente forza espressiva è raffigurato il combattimento di alcuni asura. Il culmine del tempio era coperto di detriti e macerie con cui i bonzi, in un periodo più tardo, avevano eretto precarie sovrastrutture buddhiste. Dopo avere consolidato tutta l'opera muraria e restaurato le parti in arenaria, M.Glaize nei primi anni '40 compì un formidabile lavoro di restauro e con una accurata anastilosi ricostruì l'ultima terrazza e riedificò il prasat centrale la cui fattura originaria risaliva comunque al XI secolo. Ottima cosa sarebbe uscire dal Bakong dal breve viale del lato orientale e dal gopura percorrere circa un chilometro su piste alberate per arrivare a Lolei, sul lato Nord della strada provinciale Kompong Thom–Siem Reap. Tra risaie, piante e cespugli, nulla più resta del grande bacino artificiale di Indratataka che nel IX secolo irrigava le pianure di Hariharalaya. Una piattaforma occupata da un vat buddhista accoglie al suo interno il basamento che sostiene i quattro prasat di Lolei, il tempio dinastico fatto erigere su un isolotto artificiale al centro del baray nel 893 da Yashovarman quando lasciò la capitale dei suoi padri per stabilirsi in Angkor. Lo stile dei prasat, la loro tecnica costruttiva, le decorazioni, sono quelli del Prah Ko, ma qui compare un singolare motivo iconografico. I leoni in pietra non sono accosciati a terra ma sono sollevati sulle zampe posteriori, sono in posizione di marcia, quasi come se con questa postura Yashovarman avesse voluto rendere visibile il cammino che i leoni dinastici si apprestavano a compiere verso il sito della nuova capitale. La popolazione, infatti, era molto cresciuta e l’area era satura: occorrevano nuovi spazi. Yashovarman decise allora di spostare la capitale a nord-ovest, in una vasta pianura, dove avrebbe fatto costruire un gigantesco baray che alimentasse l’economia della nuova città. Hariharalaya continuava a vivere ma la corte reale si spostava nel sito in cui nasceva Angkor, la “Città” per eccellenza.