Viaggio nei regni di Siam, Cambogia e Laos
Capitolo XVIII: Angkor la città, il tempio, il palazzo, i ponti.
"Infine, dopo tre ore di cammino su un sentiero coperto da un profondo strato di polvere e di fine sabbia che si snoda attraverso una soffocante vegetazione, a un tratto sboccammo davanti a una larga spianata pavimentata con immense pietre ben congiunte le une alle altre e alla cui estremità si trovano delle belle scalinate che ne occupano tutta la larghezza e che hanno a ciascuno degli angoli una coppia di leoni scolpiti nel granito.
Quattro imponenti scalinate danno accesso a una piattaforma e dalla scala che fa fronte all'ingresso principale si percorre un viale lungo duecentotrenta metri, largo nove, pavimentato con grossi blocchi di arenaria e poggiante su un massiccio basamento. Questo viale attraversa un fossato di notevole larghezza che circonda tutta la costruzione, e che ha un rivestimento, su tre metri di altezza per un metro di spessore, di blocchi di conglomerato ferruginoso a eccezione dell'ultimo livello che è in arenaria e in cui ogni pietra ha lo stesso spessore del muro.
Spossati per il caldo e per la faticosa marcia nella sabbia, stavamo per metterci a riposare sotto i grandi alberi che ombreggiano la spianata, quando, volgendo lo sguardo a est, rimasi attonito per la sorpresa e lo stupore. Al di là di un largo spazio spoglio di vegetazione, si levava un immenso colonnato sormontato da un tetto a volta e coronato da cinque alte torri. La più alta si leva sull'ingresso, le altre quattro gli angoli della costruzione e tutte presentano una apertura alla base, a guisa di arco di trionfo. Sul profondo azzurro del cielo, sull'inteso verde della foresta come sfondo a questa solitudine, queste grandi linee di una architettura allo stesso tempo elegante e maestosa mi parevano, al primo istante, tracciare i giganteschi contorni del mausoleo di un'intera razza scomparsa!
(.....) si può forse immaginare tutto ciò che l'arte architettonica abbia, forse, mai realizzato di più bello, trasportato nella profondità di queste foreste, in uno dei Paesi più arretrati del mondo, selvaggio, sconosciuto, deserto, dove le orme degli animali selvatici hanno cancellato quelle dell' uomo, dove non si sente che il ruggito delle tigri, il rauco barrito degli elefanti e il bramire dei cervi?
Trascorremmo un'intera giornata a percorrere questi luoghi passando di meraviglia in meraviglia, in uno stato di estasi sempre crescente.
Ah ! fossi io dotato della penna di un Chateaubriand o di un Lamartine, o del pennello di un Claude Lorrain, per far conoscere agli amanti dell'arte quanto belle e grandiose siano queste rovine, forse incomparabili, sole vestigia di un popolo che non è più e di cui anche il nome, come quello dei grandi uomini, artisti e sovrani, che lo hanno reso illustre, resterà probabilmente sepolto per sempre sotto la polvere e i detriti.
Già ho detto che un viale, attraversando un largo fossato rivestito da un muro di sostegno, conduce ad un colonnato che altro non è che l'ingresso, ma un ingresso degno di un grande tempio. Da vicino, la bellezza, la finezza e la ricchezza dei dettagli hanno di gran lunga la meglio sul grandioso effetto dello scenario visto da lontano e del suo imponente profilo.
Anziché da delusione, avvicinandosi si è colti da una ammirazione e un piacere sempre più profondi. Sono innanzi tutto le belle e slanciate colonne quadrate, ricavate da un blocco monolitico; i porticati, i capitelli, i tetti incurvati a cupola; tutto tratto da grandi blocchi di pietra mirabilmente levigata, tagliata e scolpita. Alla vista di questo tempio, l'animo resta scosso, l'immaginazione travolta; si guarda, si ammira, e, con una sorta si sacro rispetto, si resta silenziosi perché..... dove trovare le parole per lodare un opera architettonica che forse non ha, forse non ha mai avuto eguali nel mondo? L'oro, i colori sono ormai quasi completamente scomparsi, è vero. Non restano che delle pietre, ma con quale eloquenza sanno parlare queste pietre! Quanto alti esse proclamano il genio, la forza e la pazienza, il talento, la ricchezza e la potenza dei "kmerdom", i Cambogiani del passato. Chi mai potrà dirci il nome di questo Michelangelo dell'Oriente che ha saputo concepire una tale opera, ne ha messo insieme tutte le parti con mirabile arte, ne ha sorvegliato l'esecuzione, ha saputo armonizzare l'infinità e la varietà delle decorazioni con la grandiosità dell'insieme e, non contento ancora, sembra aver cercato ovunque delle difficoltà per provare il piacere di superarle e così confondere la capacità di intendere delle generazioni future!
Con quale forza meccanica ha potuto sollevare questa prodigiosa quantità di enormi blocchi di pietra sino ai punti più alti, dopo averli scavati in lontane montagne e averli levigati e scolpiti?
Quando, al calar del sole, io e il mio amico percorrevamo lentamente quel superbo viale che va dal colonnato al tempio, oppure seduti di fronte al superbo edificio centrale, riflettevamo, senza mai cessare di ammirarli e di parlarne, su questi gloriosi resti di una civiltà che ora non è più, provavamo, con grande intensità, una sorta di venerazione, di quel sacro rispetto che si sente nei confronti dei grandi geni o da cui si è colti di fronte alle loro opere. (.....) Cosa non avrei mai dato per poter evocare una delle ombre che riposano sotto questa terra, e ascoltare la storia della loro lunga era di pace seguita, senza dubbio, da lunghe disgrazie ! Quante cose non avrebbe potuto questa ombra rivelarmi, e che invece resteranno per sempre sepolte nell'oblio !
Il monumento, così come si può vedere dalla pianta generale che ne può dare un'idea più chiara di qualsiasi dettagliata descrizione tecnica, si compone di quadrati di gallerie concentriche attraversate ad angolo retto da percorsi che terminano al padiglione centrale, coronamento dell'intero edificio, santo dei santi, per il quale l'architetto religioso sembra aver riservato i suoi più raffinati dettagli decorativi. In questo tabernacolo troneggia ancora una statua di Buddha dono dell'attuale re del Siam, servita da poveri bonzi che vivono dispersi nella vicina foresta, e attira ai suoi piedi qualche devoto pellegrino venuto da lontano. Ma, cosa sono questi atti di devozione se paragonati alle solennità di un tempo, quando i principi ed i re dell'estremo Oriente venivano di persona a rendere omaggio al nume tutelare di un possente impero; quante migliaia di sacerdoti coprivano con le loro processioni le gradinate e le terrazze di questo immenso tempio; quanto intensamente dall'alto delle sue quattro cupole il suono delle campane rispondeva al canto della ruota delle preghiere delle innumerevoli pagode della vicina capitale, quella Angkor la Grande la cui cinta muraria di quaranta [1] chilometri di perimetro poteva certamente contenere altrettanti abitanti quanti ne contano le più popolose metropoli antiche o moderne dell'Occidente.
Nota 1: palese errore di Mouhot, il perimetro di Angkor Thom è di soli 12 km.
Capitolo XX: Qualche osservazione sulle rovine di Angkor
La conoscenza del sanscrito, del pali e di qualche lingua moderna dell'Indostan e dell'Indo-Chine, come anche uno studio delle iscrizioni e dei bassorilievi di Angkor, comparati con numerosi episodi degli antichi poemi epici dell'India, potrebbe aiutare a ritrovare le origini dell'antico popolo di Cambogia che ci ha lasciato le imponenti vestigia di una civiltà avanzata, che abbiamo ora ammirato, e quelle di un supposto popolo conquistatore che, succedendogli, pare non abbia saputo fare altro che distruggere, senza nulla costruire. Sino a quando dei competenti archeologi non si dedicheranno a questo compito, è probabile che non si farà altro che formulare delle ipotesi contradditorie che poi crollano le une sotto le altre. Se dunque, non potendo per il momento far nulla di meglio che formulare delle supposizioni, noi ora ci permettiamo di esprimere il nostro parere, lo facciamo in tutta umiltà e con tutte le riserve possibili. Angkor è stata il centro, la capitale di uno Stato ricco, potente e civilizzato e non temiamo di essere contraddetti su questo punto da alcuno di quelli che studieranno i suoi grandiosi monumenti seguendo le nostre imperfette traccie. Orbene, ogni Stato ricco e potente presuppone necessariamente una produzione relativamente alta e un esteso commercio. Tutto ciò poteva realmente esistere, un tempo, in Cambogia? A questa domanda possiamo rispondere con sicurezza: Si!".