Nel 978 Jayavarman V mise mano ai lavori per la costruzione degli edifici che nel centro della capitale dovevano ergersi a mostrare la grandezza del potere imperiale. Fece erigere sul lato Est della grande Piazza un monumentale basamento che fu poi chiamato Terrazza degli Elefanti e che fungeva da supporto alle costruzioni di legno della Sala del Trono e delle Sale delle udienze. Sul lato posteriore un gopura a tre porte dava accesso a una cinta muraria di 250 metri per 600 che racchiudeva gli edifici del Palazzo reale. Le tracce di alcuni muri di separazione indicano come gli spazi interni fossero rigorosamente ripartiti secondo le regole di vita del sovrano e della sua famiglia. Questo fu per 454 anni il luogo in cui vissero gli imperatori khmer. Sappiamo che tutti gli edifici erano in legno ma invasioni, saccheggi, incendi, oltre l'opera distruttiva del tempo e delle termiti hanno cancellato ogni traccia di quelle sontuose dimore le cui immagini sono peraltro immortalate nei bassorilievi. Lo spazio interno è ora un rado bosco ombreggiato da alte piante frondose e dal terreno emergono rari basamenti in pietra che sorreggevano le scomparse strutture lignee. Testimone dell'antico splendore resta sul lato nord un grande bacino di 125 metri per 45 e profondo 8 i cui gradoni in arenaria, ora restaurati, recano una serie di delicati bassorilievi raffiguranti animali acquatici, naga policefali, garuda e altre figure fantastiche. Di qui, un breve sentiero porta al recinto del Phimeanakas, il tempio il cui nome deriva dal sanscrito vimana, vale a dire tempio o palazzo, e akasha, cioè volante o celeste. Il progresso stilistico rispetto a Pre Rup è evidente. La piramide, che misura alla base 35 metri per 28, si eleva su tre terrazze in laterite di altezza decrescente: la prima è alta 4.60, la seconda 4 metri e la terza 3,40. La piattaforma superiore ha una superficie di 30 metri per 23 a una altezza dal suolo di 12 metri. Sono misure che danno la dimensione della prodigiosa fuga verso l'alto del tempio-montagna e della sua ripida ascensione accentuata da una galleria in arenaria che corre lungo la terza terrazza e dal centro della quale emerge un santuario la cui parte superiore era in legno con il tetto ricoperto di lamine d'oro. Per oltre 450 anni il Phimeanakas fu nel cuore del Palazzo ed è perciò naturale che fosse diventato una sorta di "sacra cappella" dove, nei periodi prescritti dal calendario agricolo-lunare, il re si recava per compiere i sacri riti della fertilità aspergendo di acqua lustrale il linga reale. Con le prime costruzioni del Palazzo reale Jayavarman V tracciò un segno indelebile su tutta la topografia urbana di Angkor che fu modificata solo dai grandi lavori compiuti da Jayavarman VII alla fine del XII secolo. Creò anche il cuore politico e sociale della capitale. Davanti al Palazzo reale si stende la Grande piazza, che misura 550 metri per 200 e qui, come raccontano cronisti e bassorilievi, si svolgevano le feste popolari, si snodavano sfilate militari e processioni e gli abitanti vi venivano per assistere alle solenni uscite del sovrano. A questo periodo risalgono due monumenti banalizzati dal nome Kleang, cioè "magazzino", e che spesso sono trascurati durante visite troppo frettolose. Sono posti sul lato ovest della piazza in posizione simmetrica di fronte alle due estremità della Terrazza degli Elefanti. La loro atipica struttura, le dimensioni, la collocazione, l'eleganza e raffinatezza delle decorazioni fanno pensare che fossero sontuose foresterie per gli ospiti di alto lignaggio in transito nella capitale. Il più antico è il Kleang Nord che risale al breve regno di Jayaviravarman, tra il 1002 e il 1010. Poggia su un basamento in arenaria scolpito con classica perfezione e i muri, spessi un metro e mezzo, sorreggevano un tetto in carpenteria di legno e tegole a copertura di uno spazio interno insolitamente esteso: una sala centrale di 4,50 metri di lato univa due altre sale larghe 4,70 e lunghe 18,70 metri. L'intera struttura pur se finemente decorata a bassorilievo offre tuttavia un aspetto di relativo abbandono dovuto alla pessima consuetudine degli artefici khmer di inserire in un incavo dei blocchi di arenaria una trave in legno con funzione portante: il legno è marcito, tutta la statica ne è rimasta compromessa e le pietre sono crollate. Meno curate appaiono l'esecuzione e le decorazioni del Kleang Sud, per altro posteriore e risalente agli anni successivi alla ascesa al trono di Suryavarman I nel 1011. Il monumento più rappresentativo di questo periodo lo si trova però a una certa distanza dalla grande Piazza, nel luogo dove intorno all'anno 1000 Jayavarman V decise di far costruire il Ta Keo, un imponente tempio-montagna interamente in arenaria. Ebbe il tempo solo per dare inizio ai lavori che però proseguirono anche dopo la sua morte quando si scatenò la lotta per la successione al trono. Ciò significa che pur in mezzo ai torbidi di una guerra civile le strutture dello stato continuavano a funzionare e il sistema di canali aveva raggiunto una estensione e una ramificazione tale da consentire il trasporto di grandi quantità di blocchi di arenaria dalle cave del phnom Kulen sino ad Angkor. Il Ta Keo è impressionante per le sue ciclopiche dimensioni che, nude di ogni decorazione e scultura, esaltano la grandiosità del lavoro di edificazione della struttura architettonica. I lavori di costruzione durarono più di 10 anni e solo nel 1011 furono portati a termine da Suryavarman I. La mano dello scultore non toccò però la nuda pietra e solo alcuni frammenti di decorazione e le cornici di alcuni frontoni posti ancora a terra recano le tracce di un lavoro che comunque appare elegante e raffinato. La prima sensazione che si coglie arrivando dal sentiero che si snoda nella folta vegetazione del lato est è impressionante. Le steli in pietra conducono fino al punto in cui la massa del Ta Keo, incorniciato da maestosi alberi, occupa tutto lo spazio del cielo. Sulla piattaforma superiore, larga 47 metri e alta 22, i 5 prasat quasi saldano in una sola massa gli enormi blocchi delle loro strutture che si prolungano in massici vestiboli. E' impressionante pensare come questi quasi micenei blocchi di pietra, solo squadrati e sovrapposti uno sull'altro, dopo il sapiente lavoro dello scultore avrebbero potuto trasformarsi in surreali fiori di loto dal bocciolo appena dischiuso quali sono i prasat di Angkor Vat. La base del tempio misura 120 metri per 100 e il santuario centrale, elevato su un basamento di 4 metri, raggiunge una altezza di 38 metri. La pendenza è forte e anche dal lato est la ascesa è ripida. Si supera un primo basamento alto 2,20 metri che dà accesso al secondo cortile dove un gradone in laterite levigata alto 5,50 metri, sormontato da una galleria in arenaria con false finestre sul lato esterno e la cui volta è ora crollata, cela allo sguardo del visitatore gli altri tre terrazzamenti che si elevano per altri 14 metri fino alla piattaforma sulla quale si alzano i prasat apicali. Sulle ragioni per le quali non fu poi compiuto il successivo lavoro di scultura e il tempio non venne di fatto sacralizzato si sono versati fiumi di inchiostro. Ogni spiegazione, che sia leggenda o interpretazione storica, può essere valida. Oggi comunque il Ta Keo resta a testimonianza del genio architettonico khmer.
Solo sedici anni, dal 1050 al 1066, durò il regno di Udayatidyavarman II, "Il protetto dal Sole nascente" eppure fu uno dei più fertili periodi della storia dell'arte khmer. Fece rialzare la diga che circondava il Baray occidentale, l'immenso bacino che aveva costruito il padre Suryavarman I circa 20 anni prima. La sedimentazione dei detriti aveva fatto innalzare il fondo e le acque ora debordavano e avevano quasi sommerso il Mebon occidentale, un isolotto di soli 70 metri di lato protetto da una diga di blocchi di arenaria al cui centro era stato scavato un piccolo bacino su cui sorgeva un minuscolo tempio in arenaria. Il Baray Ovest è oggi il solo diretto testimone del grandioso sistema idrico costruito oltre 10 secoli fa dagli Khmer: le acque coprono ancora più del 60 % della sua superficie e sono tuttora usate a fini di irrigazione. Udayatidyavarman restaurando l’opera del padre, fece porre nel tempio del Mebon una statua di bronzo lunga 4 metri, dorata e incastonata di pietre preziose, raffigurante Vishnu che dorme il sonno cosmico sul corpo del serpente Ananta adagiato sull' oceano primordiale. Ceu Ta-kuan la vide e scrisse che c'era "un Buddha sdraiato, in bronzo, dal cui ombelico scaturisce un costante getto d'acqua". Il torso di quella statua è ora conservato al Museo Nazionale di Phnom Penh. Il nome di Udayatidyavarman è comunque legato a quello che già gli antichi consideravano un autentico capolavoro architettonico, secondo solo ad Angkor Vat per grandiosità e raffinatezza delle decorazioni: il Baphuon. Posto a metà strada tra il Bayon e il lato Sud del Palazzo reale, copre un'area di 425 metri per 125. Un ponte lungo 200 metri, sorretto da 3 file di eleganti colonne in pietra, conduce alla imponente piramide che misura alla base 120 metri per 100 e raggiunge una altezza di 24: una mole imponente che presentava però sin dalla costruzione una grave fragilità strutturale. Il corpo del tempio era formato da una massa enorme di terra di riporto tenuta insieme da un fragile rivestimento in laterite ricoperto da lastre di arenaria. La conseguenza fu che si verificarono alcuni crolli parziali. Vennero poi le piogge torrenziali dell'estate 1943 che provocarono lo spaventoso crollo di buona parte delle gallerie e delle terrazze. L'anno successivo M.Glaize scrisse: "prima dell'inizio del lavoro di disboscamento e sterramento il Baphuon non appariva altro che una anonima collina coperta di vegetazione, tanto il tempio aveva sofferto l'azione distruttiva della natura". Nessun lavoro, anche solo di conservazione, fu tentato fino al 1962 quando la carica di Conservatore fu nelle mani di B.Ph Groslier. La sua diagnosi fu impietosa: i vizi strutturali e i danni subiti imponevano una scelta di "chirurgia radicale". Il Baphuon doveva essere interamente smontato e rimontato su una struttura in cemento. I lavori ebbero inizio, ma si arrestarono il 1 marzo del 1975 quando vennero chiusi tutti i cantieri dell' E.F.E.O in Angkor. Nel febbraio del 1995 fu nuovamente conferito all' E.F.E.O. l'incarico di riprendere i lavori al Baphuon, il cui restauro, dopo infiniti ritardi e accese polemiche, è stato, parzialmente, completato nel 2014.