Durante il periodo imperiale, nuova linfa viene portata dalle influenze dell'arte cham e soprattutto di quella giavanese che, ancorandosi al preesistente patrimonio culturale khmer, danno slancio all'arte angkoriana.
I corpi sono marcati da un lieve ancheggiamento che conferisce loro un senso di realismo anche se assumono un tono di formalismo convenzionale e un appesantimento delle forme. I volti maschili, larghi e ispiranti quiete e serenità, sono ornati da corti baffi; la capigliatura scende sulle tempie e le sopracciglia sono rese con un solo tratto orizzontale che sembra quasi tagliare la fronte conferendo allo sguardo una marcata incisività.
Agli inizi, in quello che viene chiamato lo stile di Kulen, gli idoli recano sul capo una mitra cilindrica che si tende poi a trasformarsi in una sorta di diadema regale culminante a cono. L'abbigliamento si stilizza fortemente e il corto sampot si arresta alla coscia: il tessuto è annodato sul lato sinistro e scende sul davanti drappegiandosi a forma di ancora. L'artifizio dell'arco a forma di ferro di cavallo che sostiene l'insieme della massa corporea e gli arti è abbandonato e il sostegno si limita alla mazza da guerra che scende sino a terra come nella pregevole immagine del Vishnu di Prasat Damrei Krap. Con il successivo stile di Preah Ko si segna il compimento del cammino iniziato dall'arte khmer verso la realizzazione di figure interamente a tutto tondo. Scompare ogni accorgimento di sostegno come archi di supporto e mazze calate a terra, e il corpo si presenta totalmente libero nello spazio che, marcando un lieve senso del movimento, pare quasi voler occupare nella sua interezza: esperienza artistica unica in tutta l'Asia orientale e che trova il solo precedente nella plasticità della statuaria ellenica classica. Le forme sono ieratiche benché i corpi appaiano nelle forme maschili appesantiti, quasi grassi, e le gambe sono tozze, quasi informi e prive di ogni riferimento anatomico. Tale limite è reso ancor più evidente dal sampot che è molto curato nella piega frontale a forma di ancora e impreziosito da una ricca cintura. Sui volti maschili compare, a incorniciare i baffi, una curata barba che rende ancora più marcata la regalità dell'espressione che trionfa sul viso del Vishnu e dello Shiva del Bakong. Eleganti e generose nelle forme sono le figure femminili cui una lunga gonna pieghettata e arricchita dal tessuto di riporto sul davanti e sul lato nasconde le rozze forme degli arti inferiori, così evidente e spiacevole nelle figure maschili.
Tra la fine del IX e gli inizi del X secolo si afferma lo stile del Bakheng che è indubbiamente la più ieratica forma assunta dalla statuaria khmer in tutta la sua storia: scompare ogni ancheggiamento o senso del movimento del corpo nello spazio e l'immagine si presenta in una rigida frontalità, simile a quella degli antichi modelli che giungevano dall' India. Rispetto al periodo di Prah Ko i corpi maschili sono meno appesantiti, più slanciati, come appare nel Torso maschile del Bakheng. I volti però conservano intatta la realistica fierezza nei tratti che li marcano con la profonda piega delle sopracciglia tracciata in una sola linea orizzontale. Le figure femminili, dalle forme piene sul ventre e sul seno, sono rivestite da una lunga e elegante gonna sorretta da una ricca cintura ornata di pendenti. Una nota di civettuola vivacità è data dalle ciocche di capelli intrecciati che escono dal diadema posto sul capo.
Per un breve periodo il re Jayavarman IV abbandonò il sito di Angkor e costruì una nuova capitale a Koh Ker. Breve è il periodo, ma rimarchevoli e ricche di conseguenze sui futuri sviluppi della arte khmer sono le innovazione apportate nella statuaria. Le immagini religiose ospitate nella cella delle torri-santuario non recano novità sostanziali rispetto ai modelli del precedente periodo del Bakheng: anche se meno ieratiche e statiche conservano la loro rigida frontalità. Analoghi sono il taglio dei capelli, i baffi, la barba e la marcata linea sopraccigliare, così come molto stilizzato resta il disegno del sampot pieghettato. La grande innovazione che nasce con lo stile di Koh Ker risiede nella grandiosa statuaria laica raffigurante le gigantesche forme di Garuda del Prasat Chen, dei due re delle scimmie Valin e Sugriva che si affrontano in un mortale duello, i Due lottatori di Prasat Thom. In qualche modo si riprende la lezione stilistica del periodo di Preah Ko, esaltandone però il senso del movimento, reso ancor più evidente e incisivo dal gigantismo dei monoliti di arenaria, ove i corpi fanno tutt'uno con il basamento e dai quali l'artista, con perizia e sensibilità non comuni, ha saputo trarre immagini di figure che, nonostante la loro inusitata mole, esprimono con viva evidenza la plasticità dell'atto fisico e che sembrano occupare e percorrere nella sua interezza lo spazio fisico che le circonda. E' questa una grande lezione stilistica di cui sicuramente si rammentarono gli artisti che in Angkor Vat realizzarono i bassorilievi del Mahabharata della battaglia di Lanka.
Nella seconda metà del X secolo Angkor si arricchisce di magnifiche costruzioni, ma il più prezioso e raffinato gioiello architettonico nasce nelle campagne a una trentina di chilometri dalla città: è Banteay Srei. Sposandosi armoniosamente con le dimensioni ridotte degli edifici del tempio, con la curata e raffinata eleganza delle decorazioni a bassorilievo, dei motivi floreali e di quelli mitici che impreziosiscono, quasi come un sottile ricamo, le pareti degli edifici sacri, la statuaria dello stile di Banteay Srei ne assume le caratteristiche essenziali. Scompare il gigantismo nelle forme che aveva caratterizzato il periodo di Koh Ker; tutte le immagini sono di piccola taglia, di gran lunga inferiori alla norma, pur tuttavia esprimono una vitalità ed un realismo rimarchevoli. Sono i volti soprattutto che conferiscono loro questo carattere: bocche atteggiate al sorriso, labbra piene e carnose, occhi aperti che paiono fissare il visitatore nel volto. L'atteggiamento è aggraziato anche nella spontaneità e naturalezza dei gesti che, in alcuni casi, fanno supporre quasi una sorta di affettuosa complicità fra le persone raffigurate come nel caso del delizioso Shiva assiso con Uma oppure che esprimono il reale e intimo stato d'animo dei soggetti ritratti come nel frontone della Lotta fra Bhima e Duryodana. Sono i volti e i corpi che parlano e forse proprio per questo motivo l'artista non indugia nell'arricchire le figure con ricercate vesti o preziosi monili: si ritorna a modelli arcaici con gonne spesso liscie ma rette da ricche cinture e a sampot molto semplificati nel disegno. La regalità dell' immagine, anche di singolari figure come i Genii guardiani del tempio, è donata dalla raffinata tiara conica a corona che diventa con lo stile di Banteay Srei un elemento caratterizzante di tutta l'iconografia religiosa dei periodi successivi.
Come nell'architettura, altretanto nella statuaria il periodo dello stile del Baphuon rappresenta un autentico trionfo dell'arte khmer, del suo genio creativo e della sua raffinatezza stilistica. Senza dubbio si tratta della più seducente e armoniosa interpretazione del tutto tondo con una estrema purezza dei tratti anatomici e una straordinaria grazia, incisiva e espressiva dei volti. Le divinità maschili indossano un sobrio sampot finemente pieghettato e fermato sul fianco da una sorta di fiocco e che scende con un leggero drappeggio sulla coscia. I volti, ornati da barba e baffi così come la capigliatura sono incisi con tratti decisi e ben marcati che fanno risaltare la quieta bellezza dei lineamenti come nello Shiva assiso di Bassak . La Divinità con diadema del Mebon è invece il migliore esempio di figure femminili che, inguainate in una lunga gonna pieghettata che scende sotto l'ombelico per risalire sul dorso ed è retta da una deliziosa cintura annodata sul davanti, si slanciano eteree quasi fossero dei sottili giunchi, con tratti delicati e estremamente aggraziati, illuminate da volti tondi, dal naso sottile e da un dolce e accattivante sorriso che pare rivolgersi a ogni persona che ne incontra lo sguardo.
In quasi stridente contrasto con la perfezione delle strutture architettoniche e dei bassorilievi che presentano una incisività, un realismo e un senso plastico ineguagliabile, la scultura a tutto tondo dello stile di Angkor Vat appare piuttosto convenzionale e spoglia di forza espressiva, anche se straordinariamente arricchita da sontuosi abbigliamenti, da ricche tiare, collane, bracciali, cinture e complicate acconciature.I corpi, soprattutto quelli maschili, sono tozzi, tarchiati, e i volti imberbi sono quasi quadrati, con una fissità dei tratti che toglie ogni forza espressiva. Le figure femminili in particolar modo, con le loro labbra sporgenti, assumono un atteggiamento distaccato, quasi imbronciato, ancor piú sottolineato dalla fissità dello sguardo. L'assenza di questa "vita interiore" viene solo in parte compensata dalla perfezione della esecuzione e dalla cura posta nel tracciare anche ogni minimo particolare. Per assurdo, in questo periodo dominato dal sovrano vishnuista Suryavarman II, la sola statuaria di un certo rilievo artistico è quella buddhista, segnatamente, le immagini del Buddha assiso in meditazione sotto il Naga. Sappiamo comunque che questo è un periodo nel quale trionfò la statuaria in bronzo, nella quale forse andrebbero ricercati i capolavori dello stile di Angkor Vat. Malauguratamente non ne è rimasta traccia. Molte statue furono prese come bottino dai Siamesi, altre vennero fatte fondere dopo il 1432 dagli stessi re cambogiani per estrarne le pietre preziose che vi erano incastonate e per ricavarne dei non meno preziosi lingotti di bronzo.
Con il regno di Jayavarman VII e lo stile del Bayon si scrive l'ultimo capitolo della storia dell'arte khmer. Le innumerevoli costruzioni e ricostruzioni realizzate sotto il suo regno sono popolate da un infinito pantheon, dominato da immagini del Buddha, di Lokeshvara e di altre divinità o immagini mistiche di ispirazione buddhista. Più che una raffigurazione nella pietra di sacre immagini, pare quasi che la statuaria diventi essa stessa un modo di esternare il culto, di esprimere la religiosità, di celebrare la preghiera e la fede di un intero popolo. La pessima qualità dell'arenaria disponibile, spesso ricavata da macerie di edifici distrutti dall'invasione dei Cham, e la grande taglia delle figure hanno fatto sì che le forme del corpo appaiono tozze, talora quasi "ridicole". Le gambe sono come rozzi tronchi di pietra la cui unica funzione pare essere quella di sostenere questi massicci corpi. Ma, contrariamente a quanto era avvenuto nel periodo di Angkor Vat, sono i volti che illuminano tutta l'immagine e le conferiscono una straordinaria bellezza. Pervasi da un afflato vitale, atteggiati a un calmo, quasi mistico sorriso, spesso resi sotto forma di un ritratto, come quello dello stesso Jayavarman VII realizzato con profondo realismo, celebrano nel modo più completo il senso di profonda religiosità che permea tutta l'arte dello stile del Bayon e che traluce dagli inneffabili volti delle numerose immagini del bodhisattva Lokeshvara.