Decadenza e fine di Angkor

 
Una letteratura approssimativa e male informata ha diffuso la falsa idea che il declino di Angkor sia stato causato dalla “megalomania” di Jayavarman VII.
Alcuni sostengono anche che non furono più costruiti grandi templi perché “le cave di arenaria si erano esaurite”. Affermazione ridicola perché basta dare uno sguardo alle colline del Phnom Kulen per rendersi conto che ancora oggi c’è tanta pietra per costruire almeno altre dieci Angkor.
La storia smentisce anche l’idea che il declino sia iniziato con Jayavarman VII perché una ottantina di anni dopo la sua morte giunse a Angkor una ambasceria inviata da Qubilai Khan, il “Grande Kane” di Marco Polo. Ne faceva parte un letterato, Ceu Ta-kuan, che ci ha lasciato una vivace e dettagliata descrizione della città e nelle sue "Memorie sui costumi di Cambogia" esprime stupore per la sontuosità della città e la ricchezza dei suoi abitanti.
Lo scopo stesso di quella ambasceria ci suggertisce che alla fine del XIII secolo Angkor meritava ancora il rispetto del potente Impero mongolo. Ceu Ta-kuan scrive infatti: «Il Cen-la è chiamato anche Cian-la. Il nome indigeno è Kan-po-ce. (...) Questo paese è stato da lungo tempo in relazioni commerciali con noi. Quando la dinastia santa (la dinastia mongola) ricevette l'augusto mandato del Cielo ed estese il suo potere sui quattro mari, e il generalissimo Sotu ebbe creato (nel 1281) l'amministrazione del Ciampa, inviò, perché venissero insieme in questo paese, un centurione con le insegne della tigre e un chiliarca con la tavoletta d'oro, ma entrambi furono trattenuti e non ritornarono più. Alla sesta luna dell'anno yi-wei del periodo yuan-ceng (14 luglio–11 agosto 1295), il santo Figlio del Cielo inviò un ambasciatore per richiamare (il popolo di questo paese) all'ordine, e mi incaricò di accompagnarlo. (...) arrivammo alla meta in autunno, alla settima luna (1–29 agosto 1296). Ricevemmo l'omaggio e tornammo alla nostra nave nella sesta luna dell'anno ting-yeu del periodo ta-to (21 giugno–20 luglio 1297).»
E’ facile capire cosa significano queste parole. Nel 1281 Kubilai Khano tentò una manovra “a tenaglia” contro il Vietnam e fece sbarcare nel regno del Champa, nella zona della attuale Danang, una armata comandata da Sogetu. I Cham ne bloccarono le linee di rifornimento ed è palusibile che, per approvigionarsi, Sogetu abbia inviato delle truppe a compiere scorrerie entro i confini dell’Impero Khmer. Queste truppe furono sconfitti e i loro comandanti portati prigionieri ad Angkor. Dopo il fallimento di altri successivi tentativi di invasione del Vietnam, Kubilai Khan rinunciò ad ogni tentativo di espansione a Sud e mandò i suoi ambasciatori a chiedere la liberazione di quei due alti ufficiali mongoli: un centurione con le insegne della tigre ed un chiliarca con la tavoletta d'oro. Una dozzina di anni prima, per una questione molto meno grave, Kubilai Khan non aveva esitato ad inviare le sue armate dello Yunnan a distruggere l’Impero birmano di Bagan. Ad Angkor manda invece dei diplomatici per richiamare (il popolo di questo paese) all'ordine e costoro devono attendere ben nove mesi prima di ottenere soddisfazione.
Ciò dimostra che l’Impero khmer era ancora tanto potente da meritare il rispetto della dinastia mongola anche se già si manifestavano i primi segni della decadenza.
 
Cause struturali della decadenza di Angkor
Per comprendere quali furono le basi economiche e sociali che resero possibile l'affermazione della potenza khmer in tutto il Sud-est asiatico si deve tenere conto di quale e quanta fu l’importanza delle cosiddette “cittadelle idrauliche”, cioè il sistema integrato di baray e bacini che arrivavano a immagazzinare ogni anno 360 milioni di metri cubi di acqua destinata all’irrigazione dei campi.
Il cuore dell'antico impero copriva una superficie di 10.630 kmq. con una popolazione stimata in 1.900.000 abitanti, con una densità media di 179 abitanti per kmq. e una produzione annua di 396.000 tonnellate di riso, il che corrisponde a una media di 208 kg. annui "pro capite".
Nella zona di Angkor, approvigionata dal sistema delle cittadelle idrauliche, su una superfice di 1068 kmq. vivevano 600.000 persone, con una densità media di 562 ab. per kmq. e una produzione di 126.000 ton. annue con una media di 210 kg. annui pro capite. La immediata "cintura" della capitale si estendeva per 930 kmq. e contava una popolazione di 430.000 ab. con una densità media di 462 ab. per kmq. e la produzione di 89.000 ton. annue dava una media di 207 kg. pro capite.
La regione più periferica copriva 8.630 kmq. ed era abitata da 870.000 persone: 101 ab. per kmq. con una produzione annua di 181.000 ton. che significavano 207 kg. di riso annui per persona.
Il sistema delle “cittadelle idrauliche” nacque nel IX secolo e seguì un quasi naturale corso di evoluzione ampiandosi con la costruzione di nuovi baray che aumentavano la capacità del sistema adottando soluzioni innovative che miglioravano la resa. Restarono comunque sempre inalterate le caratteristiche dei baray costruiti mediante una diga elevata sul livello del terreno. In tutti, da Lolei al baray settentrionale di Neak Pean, troviamo un acquedotto sopraelevato che porta l'acqua dal fiume facendola cadere dall'alto della diga.
A questa fonte di alimentazione si aggiungevano le piogge che mediamente portano 1,60 mt. di acqua annui. L'acqua stazionava a lungo nei bacini e si produceva quindi una forte sedimentazione, per questo all'interno della diga veniva scavato un canale per favorire il movimento delle acque mentre un altro canale esterno raccoglieva le perdite e le acque avviate alla irrigazione.
Queste caratteristiche strutturali restano inalterate nei primi tre dei quattro periodi in cui si può suddividere la storia della ingegneria idraulica khmer.
Un modello in "anteprima" venne realizzata alla fine del VIII secolo in prossimità di Vat Phu: un bacino di soli 400 x 120 mt., alimentato da una vicina fonte sorgiva, ma fu solo agli inizi del IX secolo che si diede inizio alle grandi opere in Hariharalaya dove Jayavarman II fece costruire una diga lunga 3800 metri che sbarrava il corso di alcuni fiumi che scendevano dal Phnom Kulen. La sedimentazione era però molto forte e tendeva a colmare lo sbarramento, per questo fece costruire un' altra diga, parallela, a 1000 metri a monte. Nel 870, Indravarman dovette le fece congiungere con due altre dighe "verticali" per trattenere le acque poi si cercò un nuovo sito su cui sviluppare la produzione agricola. Molto probabilmente fece iniziare nel 875 i lavori di costruzione del Baray orientale, che furono terminati intorno al 895 sotto il regno di Yashovarman.
In questi tempi la struttura del baray cominciava però a dare già segni di cedimento e l'interramento del bacino, per effetto della sedimentazione, aveva raggiunto livelli rimarchevoli.
Si concluse così il secondo periodo di questa storia e, intorno al 975, si cercarono nuove soluzioni iniziando la costruzione di un nuovo baray, quello occidentale. L'opera venne terminata verso il1020 ma, anch'essa, iniziò presto a colmarsi per la sedimentazione. Intorno al 1060 si dovettero rialzare le dighe per elevare il livello delle acque.
Quando salì al trono nel 1181, Jayavarman VII dovette ricostruire non solo la città di Angkor ma anche tutto il sistema idrico che si era fortemente deteriorato durante l’occupazione cham e le guerre. Fece erigere, secondo le tecniche tradizionali, il nuovo baray settentrionale ma, spinto dalla necessità di trovare nuove soluzioni meno onerose e più durature nel tempo, adotto il sistema dei ponti di sbarramento sui fiumi. Da Angkor fece partire lunghe strade rettilinee che solcavano i fiumi su ponti che si trasformavano in dighe che allagavano la superficie a monte.
Questa soluzione consentì di "decentrare" la raccolta e distribuzione delle acque ma moltiplicava anche il problema di manutenzione del letto dei fiumi e degli sbarramenti. Indebolitosi il potere centrale la necessaria manutenzione venne trascurata e ne conseguì una diminuzione della irrigazione e quindi della produzione agricola, nonché il rischio di disastri.
Ciò fu quel che avvenne probabilmente verso la metà del XIV secolo in Angkor stessa. Un secolo prima, lo spazio situato tra la diga nord del Baray orientale e quella sud del baray del Neak Pean venne sbarrato da una diga con un ponte che permetteva di trattenere o di lasciare defluire il corso del fiume di Siem Reap. Si stima che l'acqua così trattenuta ammontasse a circa 4.500.000 metri cubi. A ponte "chiuso" la diga cedette, il fiume si scavò un nuovo corso e una immensa valanga liquida si precipitò su Angkor dando vita alla leggenda cambogiana della "inondazione di Angkor".
Non occorre comunque cercare le cause della decadenza di Angkor in eventi fantastici. Già si è detto dei rischi ai quali era esposto il grandioso sistema idrico che in età imperiale aveva dato ricchezza e potenza ai Khmer. Un improvviso disastro poteva infliggere il colpo mortale a un sistema ormai fragile e quando nel XIII secolo si indebolì il potere centrale e l'imperatore abdicò dalla sua funzione di "signore delle terre e maestro delle acque" il sistema si deteriorò e l'agricoltura si impoverì. Da tre raccolti annui si scese a uno solo. Le acque stagnanti generarono il paludismo. La terra si impoverì e il ritorno alla pratica della cultura a debbio provocò la laterizzazione del terreno. Conseguenza di tutto ciò fu l’emigrazione e il crollo demografico.
Così Angkor si suicidò prima ancora di essere colpita dai nemici esterni.
 
Il tracollo
I Siamesi avevano da tempo iniziato a manifestare il loro desiderio di affrancarsi dal dominio khmer e cacciando il governatore khmer da Sukhothai nel 1234 già avevano creato il primo embrione di uno Stato nello Stato. Il processo fu molto lungo ma quando ormai il potere imperiale si era totalmente “inbizantinito” gli eserciti thai divennero incontenibili e nel 1353 espugnarono e saccheggiarono per la prima volta Angkor. La conquistarono nuovamente nel 1394 e nel 1431.
La popolazione era ormai troppo esigua per poter mettere in campo un esercito e le difese della città erano state troppe volte violate per essere un valido baluardo. Nel 1417 era salito al trono il giovane principe Ponhea Yat che non potè far altro che prendere atto che la antica capitale non era più militarmente difendibile e che quindi non c'era altra soluzione che abbandonarla.
Nel 1432 tutta la popolazione residua lasciò Angkor e seguì il re e la corte che si dirigevano a Oriente e la vegetazione cominciò a riprendersi lo spazio che l'uomo le aveva tolto.